Qualche domenica fa il ciclo triennale della liturgia prevedeva la presentazione della pagina di san Luca che descrive il perdono di Gesù a Maria di Magdala, avvenuto durante un pranzo nella casa di un certo fariseo di nome Simone.
La lettura di questo brano, che inquadra la conversione di quella splendida figura che è la Maddalena, del modo con cui “si confessa”, chiede perdono ed è “assolta” da Gesù, mi ha sempre coinvolto e profondamente impressionato. La conversione a vita nuova e migliore di una creatura, è sempre un fatto meraviglioso che conforta, apre il cuore alla speranza e sprona a fare altrettanto per recuperare quella pulizia interiore che rimane per tutti un sogno ed una speranza di redenzione.
La riflessione su questa pagina del Vangelo ha ridestato nel mio animo un ricordo particolare legato a questo episodio. Tra i tanti amici che contavo un tempo tra gli artisti, c’era pure un pittore di talento, il triestino Roberto Joos, che faceva il giornalista al Gazzettino, ma che amava la tavolozza ben più delle pagine del nostro quotidiano. Joos mi propose di dipingere un quadro per la chiesa; al mio assenso mi chiese che personaggio o che “mistero” del Vangelo desiderassi che dipingesse. Sapendo che un artista riesce meglio quando affronta un tema che “sente”, lasciai a lui la scelta. Roberto scelse “La Maddalena” e la dipinse nell’atto in cui lascia il suo vecchio mondo sporco e guasto e, con uno sforzo quasi disperato, si aggrappa alle ginocchia di Gesù, quasi ad uno scoglio di salvezza.
La Maddalena di Carpenedo ha ancora addosso gli abiti del suo “mestiere”. Il quadro di Joos è veramente un bel quadro intenso e ricco di messaggio. Però, dopo che l’appesi alla parete, venne da me un vecchio superpraticante che mi chiese: «Che cosa, parroco, ha appeso alla parete della chiesa?». Gli risposi, un po’ compiaciuto: «Santa Maria Maddalena!». «Macché santa, quella è un’adescatrice che può rovinare la gioventù che viene in chiesa!».
Approfittai di questo ricordo per affermare con convinzione nell’omelia che il perbenismo dei farisei, che praticano formalmente tutte le novene e le tredicine, ma non sanno che cosa sia compassione, fiducia e possibilità di redenzione, non è per nulla scomparso dopo due millenni di storia cristiana.
M’è parso, alla fine della predica, che una gran parte dei fedeli, pensando ai fatti della loro vita, abbiano tirato un sospiro di sollievo e spero che siano meno perentori nel pronunciare condanne inappellabili.