Talvolta, nonostante la mia veneranda età, continuo a scoprire cose interessanti e talvolta anche belle, ma altrettanto spesso mi capita di incontrare realtà quanto mai deludenti.
Al capezzale dell’economia italiana sono stati chiamati uomini di grande esperienza nel campo finanziario; ognuno dà la sua diagnosi ed ognuno propone le sue cure. Specie in questi ultimi tempi di elezioni se ne sono sentite di tutti i colori: dall’antica ricetta della “politica di mercato” proposta da Monti, a quella più timida di Bersani dopo i fallimenti catastrofici di quella della “sua scuola” che si rifà all’utopia del benessere per tutti, a quella radicale di Grillo che vuol mandare tutti a casa per permettere la nascita dell’era dell’oro!
Io, timidamente, propongo la mia, pur sapendo che sarà poco gradita a tutti. A parer mio bisogna da un lato che gli italiani si abituino a vivere in maniera più parca e a lavorare di più e, dall’altro lato, che si riduca all’osso il mastodontico apparato statale e parastatale estremamente improduttivo e che, nello stesso tempo, divora spaventosamente immense risorse.
Questa cura dimagrante deve partire dal capo dello Stato, per il quale l’Italia spende più dell’America per il suo presidente e l’Inghilterra per la sua regina. Per arrivare poi agli enti più periferici, quali sono i Comuni, che pagano troppa gente che non fa niente o quasi niente. Basti pensare al Comune di Venezia che non funziona, pur con i suoi quattromilaseicento dipendenti, quando ad un’azienda privata ne basterebbero si e no un decimo. Comunque in Italia ci sono pure altri carrozzoni arroganti, spendaccioni, supponenti, inefficienti e spesso dannosi.
Io, nel passato remoto e recente, ho avuto a che fare con la Sovrintendenza, per rendermi conto di quanto sia inutile; basta dare uno sguardo a Mestre per capire subito come, nonostante questo ente, la città sia nata e cresciuta brutta e sgangherata da un punto di vista estetico.
Ma le cose, nonostante la richiesta angosciosa di serietà e di austerità, continuano come se nulla sia successo. Non so se i miei concittadini si siano mai domandati a che cosa servisse quel cantiere sorto da sei, sette mesi accanto alla mura esterna del cimitero di Mestre. Ve lo dico io! La mura ottocentesca di semplici mattoni a vista, senza alcun pregio, era pericolante. Allora, giustamente, la si è rinforzata con una gettata di cemento alla base: questo era necessario. La Sovrintendenza però ha preteso che ogni pietra fosse tolta, ripulita e riposta nuovamente al suo posto. Ora che è stato sbaraccato il cantiere, anche Mestre avrà finalmente, come a Gerusalemme, il suo “muro del pianto”: non di certo per la nostalgia e il rimpianto per il tempio di Salomone, ma solamente per la spesa sconsiderata imposta da qualche funzionario della Sovrintendenza, per riavere un muro di vecchi mattoni, cotti nelle vecchie fornaci di Carpenedo e manomessi a costi impossibili.