Una scoperta tardiva

Quando ero bambino, l’insegnante di catechismo mi aveva detto che dentro al cuore di ogni uomo c’è, si, l’angioletto, ma anche il diavoletto. Mentre l’angelo ci suggerisce cose buone, il diavolo cerca di tirarci dalla parte opposta. Un buon bambino non deve mai ascoltare lo spirito cattivo, anzi ogni volta che egli tenta di suggerire qualche cosa, ci si deve tappare le orecchie e rifiutare in maniera assoluta di ascoltarlo.

In verità, durante tutta la mia vita, ho dovuto lottare duramente contro “l’avvocato del diavolo” che puntualmente “mi ha fatto le pulci” ogniqualvolta mi venivano proposte le tesi della Chiesa sui vari problemi della vita.

Confesso che è stata una faticaccia non prendere in considerazione discorsi che non sempre mi sembravano sballati, assurdi ed irrazionali. Ho tentato di salvarmi aggrappandomi a Mauriac che affermò che “i fiori del male” appaiono sempre affascinanti ma, se colti, diventano deludenti. Tuttavia, leggendo una recente biografia del cardinale Martini “Il profeta del dialogo”, ho fatto una scoperta che m’è parsa liberatoria, che mi fa rimettere in discussione le fatiche di Sisifo di un’intera vita per dover rifiutare di prendere in considerazione “le tesi del diavolo”, ossia le posizioni dottrinali dei non credenti o dei “lontani”.

Bisognerebbe che riportassi tutto il capitolo sesto del volume “La cattedra dei non credenti” che, a giudizio dello stesso Martini, non è stata istituita principalmente per convertire gli atei, ma soprattutto per motivare, far prendere coscienza, provare e purificare la fede di chi crede. Eccovi un paio di passaggi.

“…Presentandola, il prelato spiegava: «Ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un credente e un non credente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente uno all’altro domande pungenti e inquietanti. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa. E’ importante percepire questo dialogo perché permette a ciascuno di crescere nella coscienza di sé. Quindi Cattedra dei non credenti vuol dire che ciascuno è invitato a svegliare le domande che il non credente, che è una parte di se stesso, pone al credente, che è l’altra parte». Dunque non si tratta di un’iniziativa indirizzata, innanzitutto, a chi non crede, ma piuttosto di una provocazione pensata in primo luogo per i credenti. Un dialogo che ancora prima di esprimersi nella parola o nello scritto, si svolge nell’interiorità di ciascuno. Un invito a pensare. Un invito a porsi domande”.

La formula attrae molto: non è né conferenza né predica, né apologetica, ma è far emergere le domande che abbiamo dentro. Significa inquietare chi crede, per fargli vedere che forse la sua fede è fondata su basi fragili, e inquietare chi non crede, per fargli vedere che la sua incredulità non è mai stata approfondita.

Confesso che tante volte mi sono sentito solo, perché ho dovuto sempre sostenere dentro di me un conflitto interiore, scomodo e lacerante, mentre tanti dei miei “vicini” mi sembravano paciosi forse più per non aver grane e non far fatica che per convinzioni maturate al crogiolo, e dall’altro lato mi sembra di constatare che la verità assoluta non è prerogativa del “fedele”, del “credente” o del “praticante”, perché anche chi è sull’altra sponda non ne è in assoluto privo, anzi è provvidenziale, per la mia fede, che egli dissenta da ciò che io credo.

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