Ho letto qualche settimana fa, su un settimanale parrocchiale, una specie di elogio della tonaca nera del prete da parte di un giovane sacerdote di cui sono grande ammiratore.
Stimo quanto mai questo sacerdote perché zelante, pio e molto capace a livello pastorale e perché ho visto le opere alle quali questo parroco ha dato vita e il consenso che riscuote nella sua parrocchia; anzi, più di una volta, ho sperato che il Patriarca “lo scopra” e gli affidi incarichi di maggior rilievo perché di certo, non dico che li meriterebbe, ma li porterebbe avanti con competenza e bravura. Questo suo “inno” alla tonaca mi è però sembrato strano, mi è parso tanto fuori tempo. Io ho portato la tonaca per più di vent’anni ed oltre la tonaca avevo pure la chierica, il circoletto rasato dei capelli. Non mi è pesato, l’ho accettato serenamente senza disagio alcuno.
Pur essendo io un prete che veste in clergyman, sono ben contento che la Chiesa ci abbia permesso di smettere la tonaca, un abito ingombrante e soprattutto fuori tempo. Il distintivo del prete è per me la sua fede, il suo amore per gli uomini, la sua coerenza e il suo zelo pastorale. Credo che non abbiamo più bisogno di ulteriori diaframmi, di segni che ci collocano fatalmente nei secoli passati, che separano ulteriormente dal comune sentire. Il cristiano Diogneto queste cose le aveva capite e dette già venti secoli fa.
Per carità, si può essere ottimi preti anche con la tonaca, però mi pare che sia un indumento che sa di passato e sia un segno di sacralità, mentre la nostra gente ha soprattutto bisogno di quello della santità per cui non serve affatto la tonaca.