Il Cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, l’ho sempre immaginato: imponente, autorevole, sicuro, colto. Infatti il vedere questo prelato, già alto di statura, con la mitria in capo che lo allungava ulteriormente, tenere sulla destra il pastorale, che dava la sensazione di comando, il sapere che egli era un biblista di fama mondiale e che governava una diocesi di un paio di milioni di abitanti, l’aver letto alcune sue pastorali dotte ed incisive: tutto questo me lo faceva immaginare come una roccia e me lo faceva collocare tra la schiera degli apostoli e dei profeti, uomini completi e sublimi che incutono soggezione.
Ora scopro sulla copertina del suo ultimo volume che sto leggendo, “Qualcosa in cui credere”, un suo pensiero e l’immagine di questo Cardinale, una immagine che lo mostra curvo, vecchio, ammalato e ritirato in convento, mentre afferma: «L’angoscia nasce dall’insicurezza diffusa e dalla fatica di trovare nel proprio bagaglio risposte rassicuranti. E’ la paura di dover affrontare un futuro incerto, rimanendo privi di quel poco di terreno solido che si pensava di aver conquistato. Tuttavia, se impareremo a guardarci negli occhi con rispetto e da fratelli, ci troveremo uniti nella fiducia, o almeno nel presentimento che ci deve pur essere qualcosa in cui possiamo ancora credere».
Ebbene le parole umili, incerte e povere di questo vescovo che “da ricco s’è fatto povero”, mi stanno aiutando molto di più di quando pontificava sulla cattedra di Sant’Ambrogio. Anche questo è miracolo di quel Signore che con gli umili fa cose grandi.