Unità pastorali e comunità sacerdotali

Il processo di accorpamento delle parrocchie è un processo irreversibile dovuto alla carenza del clero, all’assottigliarsi della frequenza religiosa dei battezzati e alla complessità organizzativa delle parrocchie.

Fino a una trentina di anni fa s’è proceduto ad assottigliare le comunità parrocchiali moltiplicandole. Ora comunque la vita impone un processo inverso.

Ricordo come il cardinale Agostini si sia impegnato in maniera lodevole per assicurare ad ogni zona in sviluppo un prete ed una chiesa. Attualmente questo discorso non è più possibile. Credo che sia preferibile una grossa parrocchia con almeno due preti, piuttosto che due parrocchie più piccole con un prete ciascuna.

La sinergia produce dei vantaggi più che evidenti. Però in questo processo, che ritengo irreversibile ed anche positivo, non sento mai parlare della formazione di comunità sacerdotali che sono la condizione “sine qua non” perché la cosa funzioni.

In una comunità in cui più preti vivono assieme, ognuno può contribuire con le sue risorse specifiche, si è costretti al confronto e all’edificazione reciproca, si elimina l’isolamento, soprattutto si possono impegnare le forze quando occorrono ed infine si eliminano i doppioni che sprecano inutilmente energie.

Vivere assieme è difficile, però oggi penso sia l’unica strada percorribile se non si vuole arrivare all’inedia e all’inefficienza. Se in queste comunità entrassero anche i laici di ambo i sessi a condividere l’impegno pastorale, saremmo all’optimum!

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