Più volte ho confidato agli amici come per me la predica rappresenti “un tormentone” settimanale e quanto sia preoccupato di dire parole vere, coerenti al Vangelo e che tocchino la testa, la vita.
In merito a questo discorso mi sono fatto un esame di coscienza e mi sono detto qualche domenica fa: “Quali sono le più belle prediche che ho sentito durante i miei ottant’anni di vita da cristiano?” Pian piano ho scoperto la prova del nove e quindi l’ho applicata agli innumerevoli sermoni ai quali ho assistito. La prova del nove me l’ha insegnata un vecchio parlamentare veneziano, Vincenzo Gagliardi, il quale, moltissimi anni fa, mi ha detto: «Sa, don Armando, le parole che fanno centro sono quelle che hanno le gambe».
Io non capii e lui mi spiegò: «Sono le parole che traducono la vita reale che uno conduce». E’ più efficace non chi ha un parlare più forbito o una eloquenza più raffinata, ma chi vive ciò che enuncia.
Aveva ragione, infatti ricordo nitidamente il discorso di un giovane fiorentino che una sera suonò il campanello della mia canonica per annunciarmi candidamente: «Dio ci vuol bene e ci aspetta in fondo alla strada». La seconda predica è stata quella di una “piccola sorella di Gesù” che mi disse con tutta umiltà: «Ogni gesto, anche il più piccolo, di solidarietà, è sempre un’espressione di affetto che fa bene comunque».
Da qualche tempo sono più attento alla coerenza che all’eloquenza.