Cristo è il punto fermo della nostra vita che può salvare da paura e disperazione

La Chiesa ripresenta, giustamente, ogni anno certi episodi della vita di Cristo. Quando si avvicina questo appuntamento mi preoccupo un po’ più del solito pensando d’aver detto tutto su “quel certo argomento” e temo tanto di ripetermi e soprattutto di annoiare i fedeli con discorsi scontati. In realtà poi mi si presenta ogni anno qualche aspetto, qualcosa che mi pare del tutto nuovo, vero e ricco di fascino.

Così è avvenuto anche quest’anno in occasione della seconda domenica di Quaresima, nella quale la liturgia offre ai fedeli il “mistero”, ossia l’episodio della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. L’evento, tratto quest’anno dal Vangelo di Marco, è conosciutissimo. Gesù accompagna i suoi discepoli in un luogo di montagna ricco di silenzio, di maestà, di suggestione e di intimità e appare ai loro occhi in tutta la ricchezza e lo splendore della sua persona. Io confesso che non sento il bisogno di scomodare il miracolo o il portento, credo che invece questi uomini, abituati ad ascoltare Gesù e a vederlo nella monotonia pur sempre diversa del quotidiano, in quell’ambiente particolare scoprano tutta la ricchezza umana e spirituale del loro Maestro, ne rimangano affascinati ed incantati.

Gesù sapeva che essi avrebbero avuto assoluto bisogno di aver presente nella memoria questa immagine stupenda e trionfale, quando l’avrebbero visto umiliato, condotto come uno schiavo al patibolo e morire tra tremendi dolori in solitudine, abbandonato da tutti.

Ho detto alla mia gente che tutti abbiano questo assoluto bisogno di avere, dentro di noi, un punto fermo illuminante e sfolgorante, che regga di fronte alla malattia, all’insuccesso e alla prospettiva della morte.

Proprio in quello stesso giorno una giovane professionista, sola con una figlia ed un marito inaffidabile, mi raccontò la sua angoscia di fronte all’asportazione di un tumore. Quella donna, come me e come tutti, aveva bisogno di aggrapparsi ad un appiglio che reggesse, mentre attorno a sé vedeva soltanto fragilità, disinteresse ed indifferenza.

Durante l’omelia ricordai un episodio del celebre alpinista Cesare Maestri, che raccontò come, sorpreso da una bufera, sul far della sera, in parete, non ebbe altra scelta che piantare un chiodo sulla roccia a cui appese la sua amaca in attesa del mattino. La sua vita era legata a quel chiodo, sotto di lui uno strapiombo di quattrocento metri. Guai se quel chiodo non avesse retto!

La “bufera” della malattia, della morte, dell’insuccesso, prima o poi colpisce ognuno, solamente una fiducia ed un abbandono assoluto in Cristo, Figlio di Dio, conosciuto, amato con intensità in momenti particolarmente forti della nostra vita, può salvarci dal “baratro” della paura e della disperazione.

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