Inimicizia e invidia

Durante il tempo che sono stato parroco era nata l’iniziativa pastorale di fare con gli anziani un’uscita quasi ogni mese in una località di un qualche interesse storico, artistico o paesaggistico del nostro Veneto. Con questa iniziativa speravamo di raggiungere più di un risultato: uscita, preghiera e vita assieme, il tutto senza troppa fatica e troppo denaro.

Ricordo che una volta siamo stati al castello di Valmarino che si trova dalle parti di Cornuda e di Valdobbiadene. Partimmo nel primo pomeriggio, celebrammo l’Eucaristia nel luogo prescelto, destinammo un po’ di tempo alla visita della meta prescelta e poi ci concedemmo una merenda assieme.

Il castello era stato costruito dalla nobile famiglia di patrizi veneziani che l’avevano abitato fino ad una ventina di anni fa. L’ultimo erede perse tutto al gioco, castello compreso, e poi risolse il problema con un colpo di rivoltella.

I salesiani comperarono tutta la collina su cui c’era il castello, tentarono di farne una scuola, ma la cosa non andò bene e così decisero di alienarlo anche loro.

Il castello era bello e collocato in un luogo splendido dal punto di vista paesaggistico. Però successe che durante l’interregno tra i vecchi e i nuovi proprietari, i contadini che conducevano le terre attorno e detestavano i padroni, fecero scempio del castello e rubarono quanto più poterono.

Ricordo che il rettore dei salesiani che ci ospitò, ci disse che avevano acquistato il castello e le terre adiacenti, ma con l’acquisto avevano pure acquistato tutto l’odio e il rancore che questi contadini avevano nutrito per i loro vecchi padroni che li avevano angariati per secoli.

Spesso, vedendo le difficoltà che il nuovo presidente dei Centri don Vecchi incontra, m’è venuta in mente l’affermazione dei salesiani a proposito del castello e dei contadini che lavoravano le terre del vecchio proprietario e m’è venuto da chiedermi, con preoccupazione ed amarezza, se non avessi anch’io trasmesso con i Centri don Vecchi anche le inimicizie, le invidie dei miei colleghi, dei miei vicini e della civica amministrazione con i quali ho dovuto sempre combattere per offrire agli anziani meno fortunati della nostra città un luogo confortevole e sereno.

Se fosse così, sarei tanto dispiaciuto, perché ho sempre inteso trasmettere al mio successore solamente delle strutture solidali e non le meschinità e il malanimo di vicini e oppositori. Speravo infatti che la meschinità e il rifiuto dovessi portarli con me e non fossero legati alla mia opera.

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