Tanta gente, quando si imbatte in un volume che crede mi possa interessare, me ne fa gentilmente dono. Ho quindi, nel mio studiolo, una fila di volumi che amerei tanto leggere, ma che, col poco tempo che ho e con i ritmi di vita a cui mi pare di essere costretto, penso che resteranno ad aspettarmi almeno per una decina di anni. Se il Signore, data la mia data di nascita, intendesse mandarmi “la cartolina di precetto”, dovrei domandare una proroga consistente, perché ho ancora troppo da leggere e da fare.
Spinto dalla curiosità e dall’interesse, ogni tanto sono tentato di leggere qualche pagina dell’uno o dell’altro volume, sperando di cogliere, con queste fugaci ed intervallate letture, il succo del testo. La lettura, perché sia proficua, esige però continuità ed attenzione.
Comunque per adesso sono attratto quanto mai dal libro “Foglie secche”, il volume che una mia “antica” ragazzina dell’asilo, ora validissima ricercatrice dell’università di Venezia, essendo esso esaurito, ha trovato il tempo e la volontà di fotocopiare, pensando che mi interessasse.
La lettura di questa specie di diario dell’arcivescovo Celso Costantini, letteralmente mi affascina, perché racconta la vicenda tragica della mia gente e della mia terra durante la prima grande guerra. La lettura si coniuga quanto mai con i racconti di mio padre, che visse sulle sponde del Piave le amare vicende del nostro Paese invaso dagli austriaci, poi, da profugo, nelle retrovie del fronte.
Quelle storie di guerra che mio padre mi raccontava e che io, bimbo, ascoltavo con avidità come fossero favole, sono descritte dall’alto prelato con penna puntuale e felice, inquadrandole da un punto di vista storico, sociale e religioso. Ora capisco più che mai il dramma dei miei genitori, dei miei nonni e della mia gente, provata dal turbine della guerra, ma che, nonostante tutto, era sana, religiosa, solidale. Ora capisco quanto fossero saggi, bravi i nostri vecchi preti, capaci di trasmettere la fede e la bontà.
Monsignor Costantini, uomo del suo tempo, trasuda di patriottismo ha una visione della guerra, come riscatto, occasione di rinnovamento civile e una missione quasi sacra che noi, a quasi un secolo di distanza, non possiamo più condividere. Però riesce a farci prendere coscienza di come il nostro Veneto fosse sano e attaccato a sacri valori, ora traballanti.