Don Roberto, mio fratello piccolo, parroco a Chirignago, in una di quelle sue sparate improvvise ed inaspettate, ha rivendicato per il fratello più vecchio (che sono io), in pensione, almeno la commenda di “Monsignore”, per un riconoscimento delle opere da lui compiute.
Don Roberto non ha inviato in curia una garbata e rispettosa richiesta, ma l’ha fatto pubblicamente nel periodico della sua parrocchia, “Proposta”, di cui è redattore, direttore e forse anche tipografo, da un quarto di secolo; l’ha fatto poi nel suo stile che si rifà a Montanelli o a Giuliano Ferrara: vivace, tagliente, ironico.
La cosa in verità mi ha fatto molto piacere, ben s’intende perché l’ho colta come un segno d’affetto fraterno, non certamente perché condivida la richiesta o la sua proposta. Se egli rivendicasse il titolo di monsignore per i miei meriti acquisiti nella Chiesa veneziana, io dovrei domandare per lui almeno la berretta cardinalizia per essersi tirato su una parrocchia veramente meravigliosa, per il vivaio di giovani che ha cresciuto, per la molteplicità d’iniziative pastorali e la partecipazione dei suoi parrocchiani alla vita della comunità.
Penso che oggi sia un segno d’onore essere soldati semplici come il piccolo Nemech del romanzo “I ragazzi della via Paal” ove tutti erano graduati fuorché lui. Da noi oggi non so chi non sia Monsignore!
La trovata di sapore goliardico del mio caro don Roberto mi spinge a fare una confidenza in proposito. Qualche anno fa monsignor Pizziol mi convocò a Villa Visinoni a Zelarino e mi disse che il Patriarca, e pure lui, avevano pensato bene di offrirmi il titolo di Monsignore, avendone a disposizione uno del “capitolo dei canonici” di Murano (ora a Murano non c’è da più di un secolo il capitolo, sono rimaste invece solamente le onorificenze relative).
Chiesi la grazia di soprassedere perché proprio non avrei mai saputo vedermi con bottoni e fascia rossa. Egli mi accordò senza tanta fatica il favore. Seppi poi che offrì ad un mio più giovane collega il titolo rimastogli a disposizione, confratello che fu ben contento di riceverlo e il vicario ben felice d’aver “preso due piccioni con una sola fava”.
Fortunatamente l’impennata di don Roberto è venuta “sede vacante” e perciò non corro alcun pericolo. L’uscita di don Roberto mi ha fatto felice perché segno di affetto e perché trovata divertente; spero però che non gli venga in mente di fare un’altra uscita del genere, altrimenti dovrò – ripeto – rivendicare per lui il cardinariato.