Ho capito ormai da tanto tempo che se non si vuole aver noie o non si vuole essere fraintesi, è sempre opportuno accodarsi all’opinione pubblica e non discostarsi dal pensiero della maggioranza. Però io non ci sto a questo costume, o peggio a questa moda, perché sono profondamente convinto che questo sia un comportamento di comodo, falso ed ipocrita. Anche dovendo pagare coscientemente il prezzo dell’isolamento e dell’incomprensione, ritengo doveroso dire, con rispetto ed umiltà, ma anche con onestà, il mio parere, pur sapendo che questo comportamento non scalfisce il pensare comune.
E vengo al nocciolo del problema al quale ho sentito il bisogno di fare questa premessa per non apparire un bastian contrario di professione o, peggio ancora, un integralista disumano.
Fino a un decennio fa la Chiesa rifiutava il funerale religioso ai suicidi, ai divorziati, ai peccatori pubblici e perfino ai comunisti; il tutto, credo, per affermare il dissenso e la incompatibilità tra il pensiero cristiano e quello che, almeno apparentemente, è opposto.
Ora s’è cambiato registro, si benedicono tutti, indipendentemente dal loro comportamento morale e religioso.
A me va più che bene! Gli antichi dicevano “Parce sepulto” e Cristo ci ha parlato del padre del figliol prodigo con le braccia spalancate al perdono.
Lasciamo il giudizio a Dio che “conosce i reni e il cuore”. Però fare un eroe di un suicida, parlare di creatura solare per chi è morto di droga, battere le mani a qualsiasi soggetto, presentare come una persona esemplare chi non ha mantenuto i patti di un impegno preso di fronte al proprio partner e soprattutto a Dio, mi pare tutt’altra cosa, che decisamente non condivido, perché vuol dire far confusione e soprattutto offrire un cattivo e fuorviante insegnamento.
Rispettare il dolore dei familiari, non arrogarsi il potere di giudicare, affidarsi e contare sulla misericordia di Dio è una cosa, ma dichiarare campione chi obiettivamente è uno sconfitto dalla vita, è tutt’altra cosa.