Oggi tutto è oggetto di standardizzazione perché prodotto in serie, con meno fatica e meno costo. Questo modo di operare impedisce la nascita del capolavoro, che per natura deve essere opera unica e toglie dignità ed, oserei dire, sacralità ad ogni evento che riguarda la vita dell’uomo. Questo metodo di vivere impoverisce terribilmente ogni attività umana e tutto ciò investe la nostra esistenza.
Qualche giorno fa sono stato costretto a fare delle considerazioni sul modo di accomiatarsi da una persona cara che il Signore ha chiamato a sé, seguendo le operazioni e la cornice del funerale di una creatura che, come quasi sempre, non conoscevo.
All’ora concordata il defunto è arrivato da non so dove, accompagnato da quattro addetti alle pompe funebri; la bara non aveva né Cristo né un fiore. La seguiva un gruppetto di cinque o sei persone, che hanno partecipato un po’ annoiate alla messa funebre. Terminata la messa, i quattro soliti addetti ripresero il carrello, lo infilarono nell’auto funebre, e via di corsa a Marghera per la cremazione, mentre i “famigliari” sono rimasti vicino alla chiesa a chiacchierare. Non una lacrima, non un grazie, perché forse per loro anche il sacerdote è ritenuto un addetto alle pompe funebri e rientra nel “tutto compreso”.
Solamente cinquant’anni fa, quando ero cappellano a San Lorenzo, la campana annunciava la morte di un componente della comunità, poi, il giorno del funerale, una folla partecipava al rito funebre. La liturgia era meno sbrigativa, la croce precedeva il corteo funebre che si snodava da San Lorenzo al cimitero; la seguivano decine di corone di fiori, quattro amici del morto tenevano i cordoni del carro funebre, le donne dietro il carro recitavano il rosario, mentre le serrande dei negozi di Piazza Ferretto venivano abbassate in segno di partecipazione e le campane diffondevano i mesti rintocchi.
Al cimitero poi, i becchini coprivano con solenni palate la fossa e la gente ritornava mesta, parlando delle qualità e delle vicende di vita del loro estinto.
Io non rimpiango il passato e ritengo che ogni tempo abbia i suoi riti e i suoi modi di celebrare gli eventi più significativi della vita, ma penso altresì che quando viene eliminata ogni “liturgia” religiosa e “civile”, quell’evento si riduca ad una realtà banale che non pone problemi, non suscita sentimenti e soprattutto impoverisce ulteriormente la dignità e il significato del nostro vivere.
Buongiorno Don…mi permetto di scrivere una riflessione che,oramai,mi è entrata nel DNA e che accetto serenamente. Osservo la gente…mi piace…e la cosa che salta agli occhi è il voler assomigliare per forza a qualcun altro…solitamente cercare di assomigliare a qualche buono a nulla visto in TV. Da questo ne consegue tutto il resto del comportamento,che diventa standardizzato anche nei funerali (non in tutti),nel modo di essere,di lavorare,di amare…di vivere. Manca piu’ che mai,nella maggior parte delle persone,la sicurezza in se stessi,del proprio io…e diventa piu’ facile far si che il proprio ego diventi una fotocopia trita e ritrita ma,a detta di tanti,che funziona…anche se è,appunto,una fotocopia.Personalmente non vivo in questo modo,ma ne vedo tante..troppe.. persone con nessuna sicurezza di cio’ che sono..e questo mi fa star male…oltre che incazzare. La Saluto Cordialmente. Checchin Marco