Il figlio mi aveva tracciato un rapido e sommario ritratto della mamma a cui l’indomani avrei dato l’ultimo saluto. Come capita per le realtà importanti ed essenziali della vita, uno ha la sensazione di aver bisogno di tempo per delineare la vita e la personalità della persona cara dalla quale sta per distaccarsi. Poi, quando questo figlio prende la parola, finisce per balbettare qualcosa di confuso, mentre avrebbe il desiderio di trovare le parole più belle per incorniciare il volto dell’amata mamma.
Anche in questa circostanza dovetti esser io a fargli qualche domanda perché emergesse dal suo rimpianto e dall’amore un volto più definito di chi gli aveva donato la vita e l’aveva cresciuto con amore.
Quando poi, a conclusione di questo breve discorso, finii per domandargli se avesse qualche particolare da riferirmi, in modo che io potessi offrire ai partecipanti alla messa del commiato un aspetto positivo della testimonianza di vita di questa vecchia donna che tornava al Signore, farfugliando confuso mi disse che sua mamma era stata una donna “tenace”. Immaginai quindi una donna dalle linee consistenti, mentre invece, prima di darle l’ultima benedizione scorsi nella bara un corpicino minuto.
Nonostante questo compresi che lo spirito che abitava in un corpo ormai logoro dalla vita deve aver dato il coraggio, la forza e la volontà di affrontare la vita, compiendo il proprio dovere e portando a termine la sua missione senza deflettere.
Aveva ragione il figlio! Compresi che quella povera mamma era stata una di quelle tante e povere pietre, nascoste dall’intonaco, che nonostante la poca apparenza, reggono l’edificio della nostra società.
Guai se ci fossero nel mondo solamente capitelli elaborati che fanno fin troppa mostra di sé; la società regge ancora perché nel mondo ci sono, per fortuna, innumerevoli creature “tenaci” come questa che, nonostante tutto, reggono le pareti portanti del nostro mondo.
Nel mio sermone perciò le appuntai la “medaglia d’oro” della stima e della riconoscenza di tutti.