In questi giorni sto pensando che il termine “fede” è, almeno per me, un termine un po’, o tanto, ambiguo. Ho l’impressione che uno ritenga di aver fede quando crede che la realtà in cui vive è stata creata da un Essere superiore, dalle risorse infinite, tanto da essere stato capace di fare un mondo così complesso e nello stesso tempo ordinato, tanto che ogni essere ed ogni realtà ha una sua funzione correlata all’infinita catena di creature, di minerali, di corpuscoli, di atomi o di leggi.
Osserviamo l’universo! Tutto questo ci fa esclamare col ragazzo di Rousseau: “Quanto sei bello o sole, ma quanto più bello deve essere chi ti ha creato!” Di fronte alle meraviglie del Creato sono portato ad ammirare, adorare e ringraziare questo “architetto” così geniale, pieno di intelligenza, fantasia e generosità. Però con questa fede mi fermo qui! Mentre io avverto d’aver bisogno di molto altro per non sentirmi solo, smarrito, indifeso, abbandonato alla sorte ed impotente.
Da queste mie meditazioni piuttosto arzigogolate ho concluso che io più di fede, ho veramente bisogno di “fiducia” nel Signore, di sentire che mi è vicino, pensa a me e sceglie per me quello che è il mio vero bene, non quello che io mi illudo che sia.
Ho letto qualche giorno fa che ad un operaio disoccupato da sei mesi è capitato d’essere convocato per un colloquio. Purtroppo gli è andata male. Si scoraggiò e si lagnò con Dio perché si era disinteressato alla sua sorte. Un mese dopo però apprese che la ditta che l’aveva chiamato era fallita e perciò, se fosse stato assunto, si sarebbe trovato nuovamente disoccupato, mentre nel frattempo egli aveva trovato un buon lavoro, ben remunerato e vicino a casa.
Dio ci conosce a fondo e ci vuol bene, perciò i suoi “no” sono solamente per il nostro vero bene. Aver fiducia nel Signore allora vuol dire fidarci e leggere gli eventi in positivo a qualunque costo e in qualunque situazione. Già a Roma avevano coniato una sentenza a questo proposito, sentenza che io ho fatto scrivere in un mosaico all’entrata del “don Vecchi”: “In spem contra spem”. Bisognerà che me la legga di frequente per non lasciarmi prendere talvolta dall’angoscia o dalla paura dell’ignoto.