Una decina di anni fa sono rimasto stupito nel leggere uno sfogo amaro di padre David Maria Turoldo, l’ardimentoso frate dei Servi di Maria.
Padre Turoldo fu un combattente impavido, che si schierò con coraggio e con passione dalla parte degli uomini poveri e dei cittadini oppressi dai prepotenti di turno. Ricordo la preghiera appassionata che egli mise in bocca ai partigiani: la preghiera del ribelle. Le sue parole suonavano come squilli di tromba. Come ricordo le parole dolcissime con cui cantò la Pasqua del Signore: «Voglio passare per le strade della mia città e donare un fiore, senza parlare, voglio mettere nel cuore di chi incontro, buono o cattivo, credente o meno, il lieto annuncio della Resurrezione del mio Signore». Turoldo fu un uomo vero, coraggioso e forte, dolce e ricco di poesia.
Ebbene padre Turoldo, colpito dal tumore, scrisse con penna forte e tagliente, come solo lui sapeva adoperare: “La bestia s’è insediata, come su un trono, all’interno del mio corpo”. S’avvertiva la lotta dura, forse la sfida e un duello in cui si sentiva, purtroppo, perdente. Morì, non tanto tempo dopo, di cancro.
Spesso anch’io avverto con preoccupazione ed anche, devo ammetterlo, con paura, il ruggito di questa bestia. Non so fin quanto rimarrà alla catena. Mi rifugio sempre più spesso nelle parole sagge di Giobbe: “Se ho ricevuto dalle mani generose di Dio i giorni lieti, perché non dovrei ricevere dalle stesse mani anche quelli della prova e dell’amarezza?!” O nelle parole dolci e soavi di frate Francesco: “Laudato sii, mi Signore, per sora nostra morte corporale”. Sono pensieri che mi aiutano, ma che tuttavia non riescono a togliermi preoccupazione e timore.