La paura di morire

Qualche giorno fa, riflettendo su ciò che lo scoutismo mi ha insegnato, sono tornato ad una vecchia reminiscenza che mi ha portato alla memoria la splendida testimonianza di un giovane scout francese, che aveva colto ed interpretato al meglio lo spirito scout. Tuttavia, in occasione di un ennesimo ricovero nella clinica urologica di Padova, mi è capitato di fare una esperienza simile alla sua, anche se un po’ meno brillante e mistica.

Guy Delagaudie, in un assolato pomeriggio d’estate, trovandosi su un alto sperone di roccia e vedendo sotto di sé un mare limpido ed azzurro, ebbe istintivamente la voglia di tuffarsi. Però, spiccato il salto per il tuffo, ebbe l’impressione d’aver sbagliato la misura e di stare per sfracellarsi sulla roccia sottostante. In quell’attimo fece in tempo a ripetersi “Signore, fra qualche istante sarò tra le tue braccia!”

Per me il fatto è stato più prosaico, però non meno preoccupante. Avevo subìto l’intervento chirurgico positivamente ma, per non so quale motivo, i sanitari si sono accorti che il valore del potassio era schizzato in alto in maniera preoccupante e pericolosa. Per affrontare questa emergenza, il medico mi fece fare un prelievo del sangue ogni due ore, per monitorare le reazioni ai farmaci prescrittimi. L’ultimo prelievo avvenne alle 21 e mi riferirono che il valore stava scendendo. Mi addormentai con una ritrovata serenità ma, a mezzanotte, due infermieri, entrati in stanza furtivi alla luce di una torcia, mi svegliarono e mi dissero che dovevo farmi una flebo. Poi uno di loro iniettò nel flacone del liquido una siringa di nonsoché. Chiesi spiegazioni per sapere se questo fosse dipeso dall’esito negativo dell’ultimo prelievo. Essi, che normalmente, per motivi di deontologia professionale, sono sempre parchi di informazioni, furono molto evasivi. Il buio della notte, il fatto che la mattina seguente avrei dovuto essere dimesso e che m’erano state tolte tutte le cannule, mi fece immediatamente pensare: “Ci siamo!”

Chiesi in fretta perdono al buon Dio, poi pensai che avrei dovuto essere felice di essere in procinto di incontrarmi col mio Signore; però la cosa non mi riuscì molto facile. Allora tentai di scusarmi aggrappandomi al pensiero che avrei lasciato in difficoltà i miei collaboratori per reperire i fondi per il “don Vecchi” di Campalto. Capii però che questo, in realtà, era solo un pretesto, e dovetti ammettere che avevo paura.

Al mattino tutto si risolse molto prosaicamente. Conclusi però che devo incentivare il mio “apparecchio alla buona morte”, come si diceva un tempo.

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