Al “don Vecchi” mi trovo bene, vivo una vita serena, però ogni luogo ed ogni situazione hanno la loro spina, che talvolta punge e fa sanguinare.
Per entrare al “don Vecchi” non serve, come avveniva un secolo fa, che i richiedenti esibiscano un certificato che attesti l’avvenuto adempimento al precetto pasquale o la partecipazione alla vita religiosa, però non si nasconde neanche che la parrocchia ha dato vita a questa struttura per farne un luogo in cui nasca e viva una comunità cristiana.
Al momento della domanda di ingresso tutti, pur non richiesti, snocciolano una serie di motivi veri o presunti che a loro avviso darebbero diritto di entrare in questa struttura voluta dalla comunità per i suoi membri. Quasi tutti si offrono a quella necessaria collaborazione che, sola, può abbattere i costi e rendere possibile la vita anche ai meno abbienti.
L’idillio religioso e di volontariato però dura poco, molto poco, per alcuni neanche inizia. La stragrande maggioranza è immediatamente disponibile e talora perfino avida di accaparrare ogni vantaggio possibile, non solo per sé, ma anche per i figli i quali, in maniera più o meno elegante, li hanno messi fuori di casa perché erano diventati un peso ed un ingombro.
A livello religioso poi, dichiarandosi tutti credenti e cristiani, pur avendo tutte le agevolazioni possibili ed immaginabili, al massimo una metà dei 230 residenti al “don Vecchi” di Carpenedo partecipa al precetto festivo che è celebrato ogni settimana in casa e che si può raggiungere senza alcuna difficoltà.
L’amarezza di questo rifiuto “alle nozze”, con i pretesti più banali, mi ha fatto balenare l’idea, che ancora non ho messo in pratica – ma che prima o poi finirò per attuare – di scrivere: “don Armando oggi celebra l’Eucaristia per i cristiani che abitano in questa struttura”. Non credo però che neanche così metterò in crisi molti soggetti.