“Conversione” parziale

Pochi giorni fa ho tentato di fare un abbozzo di riflessione su un fenomeno religioso che è suggerito, e forse anche imposto dalla globalizzazione perché, mai come oggi, vuoi per i mass-media, che raggiungono anche l’angolo più remoto della terra, e vuoi per il rimescolamento progressivo che sta avvenendo tra popoli tanto diversi, si genera anche un rimescolamento di culture, tradizioni e costumi.

Nella mia fanciullezza non ricordo di aver mai incontrato nel mio paese natio un uomo di colore. I primi li ho conosciuti al tempo delle elementari quando ci veniva insegnato che l’Italia aveva bisogno dell’Impero e per raggiungere tale scopo il Duce inviò in Etiopia i nostri soldati a “civilizzare” i sudditi del Negus. Quelli erano i tempi di “Faccetta Nera”. Il Don Vecchi ora, invece, è un centro cosmopolita nel quale si possono incontrare cittadini di tutte le nazionalità. Riferendomi alle parole del Cardinal Scola, nostro vecchio Patriarca, che amava definire questo rimescolamento “meticciato” civile e religioso, mi sono chiesto “Ma io sto subendo qualche influenza a livello civile, culturale e religioso dal progressivo contatto con culture e civiltà tanto diverse?”.

Ho constatato che purtroppo, o per fortuna, questo sta avvenendo. Tutti sanno come il buddismo predichi il rispetto per ogni creatura. Un tempo il rispetto per le vacche, tanto diffuso in India, mi faceva ridere, ora non più. Ho scoperto di aver imparato in maniera inconscia a rispettare anche le creature più minute. Quando suor Teresa spazza la casa dalle formiche mi disturba, accetto a malapena la “guerra” alle zanzare perché la considero legittima difesa. Da un po’ di mesi, sul grande prato davanti al terrazzino del mio alloggio, è comparsa una famigliola di nutrie che verso sera escono per brucare l’erba e, quando ho appreso che le vogliono eliminare, confesso che mi dispiace tanto sembrano pacifiche e indifese. Confesso anche che questa mia parziale conversione all’induismo non mi provoca né dispiacere né pentimento.

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