Preti in pensione

Questa mattina sono stato a San Girolamo a celebrare le nozze d’oro di uno dei collaboratori più vicini e più determinanti nella bella avventura dei Centri don Vecchi: Rolando Candiani, il figlio del famoso pittore mestrino.

La chiesa di San Girolamo una volta ancora mi ha offerto quella atmosfera sacra e serena propria di un tempio che per molti anni fu ufficiato da un vecchio prete, antico stampo, don Artemio Zordan.

Questa celebrazione voleva essere una testimonianza di riconoscenza e di affetto verso Graziella e Rolando Candiani la cui vita e storia di questi ultimi vent’anni s’è mescolata ai miei sogni e pure alle mie preoccupazioni. La vicenda dei Centri don Vecchi è stata di certo una bella vicenda, positiva e riuscita, però in realtà non è stata una passeggiata su un sentiero coperto da petali di rose, ma carico di difficoltà senza fine.

Durante la celebrazione m’hanno sempre accompagnato la testimonianza di due sacerdoti: quella di don Artemio, cappellano storico di San Girolamo, prete all’antica, però capace di educare la gioventù del suo tempo, e quella di don Fausto, prete all’avanguardia che ha condotto fino ad oggi in maniera intelligente ed innovativa la bella parrocchia del duomo di San Lorenzo.

Un tempo si faceva il prete a vita. Oggi non più: è di certo una conseguenza della mentalità, a mio giudizio non sempre positiva, del sindacato che ha indotto pure la Chiesa ad allinearsi con la società, stabilendo – per me innaturalmente – una data per uscire dal ministero pastorale attivo.

Don Artemio, il vecchio rettore di San Girolamo, che di certo non brillava come innovatore, ha cresciuto generazioni di bravi ragazzi che lo ricordano con affetto e riconoscenza, e tra questi c’era pure, stamattina, Rolando, lo sposo che rinnovava il suo patto d’amore con Graziella dopo cinquant’anni di vita in comune.

La presenza di don Fausto, che a giorni abbandona l’apostolato attivo nel duomo di San Lorenzo, mi ha riconfermato nella convinzione che l’ottemperanza pedissequa alla norma che fissa a settantacinque anni l’età della pensione dei preti, è una solenne castronata che impoverisce la Chiesa veneziana, anche perché ho l’impressione che non vi sia un progetto illuminato per recuperare queste belle potenzialità.

Io ho conosciuto don Fausto ragazzino ai Gesuati, il mio rapporto con lui è sempre stato corretto, però dialettico e sano, per cui non sono mancate pure le divergenze che per me sono un fatto non solo naturale, ma pure arricchente.

Più volte ho ribadito che don Fausto a Mestre rappresenta la punta di diamante per la pastorale. Non conosco parroco più lucido nell’impostazione della comunità cristiana, più aggiornato nel cavalcare la sensibilità dell’uomo d’oggi, più capace non solo di interpretare, ma di dar risposta ai problemi dell’uomo. Il suo “licenziamento” per limiti di età e la mancanza di un progetto lucido per utilizzare questa sua esperienza, mi pare una vera carenza della Chiesa veneziana.

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