L’arco di tempo in cui sono stato un attento osservatore delle problematiche dei sacerdoti e delle relative parrocchie è ormai consistente, tanto che mi sono fatto una visione complessiva abbastanza documentata.
Ai tempi della mia fanciullezza le parrocchie erano sufficientemente fornite di sacerdoti; ognuna aveva oltre il parroco, uno o due cappellani, e siccome erano parecchi i sacerdoti che ambivano a diventar parroci, c’era perfino un concorso con degli esami per esser nominati parroci nelle parrocchie che si rendevano vacanti.
Quando ero un giovane prete, intorno agli anni cinquanta-sessanta, tempo in cui ci fu, da un punto di vista canonico, un momento estremamente favorevole, si costruiva un po’ ovunque, tanto che si crearono nuove parrocchie e si smembrarono quelle più numerose. La dottrina di fondo era che il sacerdote poteva seguire meglio una comunità non troppo numerosa.
Con il tempo della contestazione ci furono parecchi preti che smisero la tonaca, il seminario si svuotò in maniera vistosa e iniziò un calo progressivo di preti, tanto che ai nostri giorni non solo non ci sono più cappellani nelle parrocchie, ma si è cominciato ad accorparle sotto la denominazione “unità pastorali” che in pratica è una foglia di fico per tentare di nascondere la mancanza di preti.
L’andamento che nella nostra diocesi – mi pare – si sia scelto, è quello di “stiracchiare la coperta” che comunque è troppo corta. Io speravo invece che ci si orientasse a creare parrocchie più corpose con una, seppur piccola, comunità sacerdotale, ma pure con un organigramma di addetti laici giovani, uomini e donne, preparati nei settori specifici (catechesi, stampa, gioventù, evangelizzazione) regolarmente assunti e pagati per operare in stretta collaborazione con la comunità sacerdotale. Mi pare che si sia invece pensato che questa funzione possa essere svolta dai diaconi o dagli accoliti; in realtà l’esperimento non mi sembra affatto riuscito sia per l’età che per la mentalità degli elementi che si avviano al diaconato o all’accolitato.
Lo “zoccolo portante” delle parrocchie, sul quale si possono aggregare i volontari, deve avere una garanzia economica e soprattutto una valida professionalità specifica. Io sono fiducioso perché ho sempre avuto modo di osservare come la vita, la storia, ma soprattutto la Provvidenza, alla fin fine abbiano sempre la meglio. Però, se non si fanno scelte oculate, il cammino diventa più lungo, più tortuoso e soprattutto con “prezzi” pastorali assai elevati.
Perché io, povero vecchio prete, scrivo questo? Possibilmente per aiutare i responsabili a far meno errori.
19.06.2014