Molte mattine mi sveglio molto prima delle fatidiche 5,30 quando suona la sveglia. Talvolta mancano 10 minuti, qualche altra volta una o due ore. Normalmente evito di premere il tasto che illumina il quadrante della sveglia, sperando o illudendomi che la notte non sia tutta passata e nella speranza d’avere ancora tempo da dormire.
Fino a qualche tempo fa davo uno sguardo alle tapparelle per vedere se filtrava un po’ di luce, ora è sempre tutto buio. Questo giochetto mattutino, condotto tra me e me, lo faccio più lucidamente di giorno. Passati gli ottant’anni si è sempre e comunque vicini al “giorno nuovo”, talvolta tento di assaporare il tempo che mi manca, vivendo intensamente e godendo di ogni minuto e di ogni cosa, talvolta mi sento preoccupato perché da tanti segni mi vien da pensare che suoni il campanello per “il passaggio”.
E’ un po’ particolare la vita nei tempi supplementari. Da alcuni anni so che la partita è praticamente finita e che sto vivendo il tempo breve dei recuperi. Al “don Vecchi” mi è abbastanza facile incontrare i novantenni, ma sono molto pochi e quasi sempre mal ridotti. Ora sto centellinando i giorni, talvolta perfino le ore, e mi pare bello anche quello che un tempo mi sembrava banale. Soprattutto avverto sempre urgenza di concludere quello che sto facendo, pur essendo certo che la vita mi tenta facendomi sognare e prospettandomi altre cose belle ed interessanti e facendomi rammaricare di non averci pensato prima, di non aver posto in atto, quando avevo tempo, imprese che ora ho perfino paura ad iniziare, perché temo di non poter portare a termine o di dover lasciare come un onere pesante sulle spalle degli altri.
Spesso mi capita di pensare come un sogno splendido ma impossibile la “cittadella della solidarietà”. Ora poi, che perfino il Patriarca mi ha scritto che è interessato al progetto, mi spiace quanto mai sapere che comunque rimarrà per me una visione lontana, e guardo al progetto come Mosè alla Terra promessa.