Chisso

Chisso è l’assessore della Regione Veneto onnipresente. Non passa giorno che la stampa locale non lo presenti come protagonista di uno degli infiniti ed ingarbugliati problemi dei quali si intesse la vita della nostra città e della nostra Regione. Ha una voce pacata, un volto sempre composto e sereno e delle prese di posizione sagge. La città si è accorta della sua operosità e l’ha votato in maniera sovrabbondante.

Il nostro assessore dà l’impressione che si prenda a cuore ogni problema, come fosse l’unico e il più importante a cui offrire la sua attenzione. Io lo considero un amico vero del “don Vecchi”. La prima volta che è venuto al Centro io gli spiegai la dottrina a cui ci rifacciamo. Capì al volo che era una soluzione innovativa e vincente, infatti pochi giorni dopo ci arrivò la comunicazione che la Regione aveva stanziato centomila euro per il Centro di Marghera.

Lo incontrai poi in Regione da Sernagiotto per il “don Vecchi 5” per gli anziani in perdita di autonomia. Era venuto per perorare la nostra causa presso il collega. «Questa è gente seria di cui ti puoi fidare» disse a Sernagiotto.

Qualche giorno fa don Gianni l’ha incontrato per chiedergli di aiutarci per il problema aggrovigliato della viabilità per giungere al futuro cantiere degli Arzeroni. Ci ha promesso di darci una mano. Sono certo che lo farà perché è un amministratore galantuomo. Oggi trovare un galantuomo in politica è una fortuna e una grazia del cielo.

Da qualche tempo dico un’ave Maria per Chisso perché non “si stufi” e continui ad aiutare la sua gente e sappia che c’è chi lo stima e gli vuol bene.

I “miei” frati

Qualche settimana fa ho dedicato l’editoriale de “L’incontro” alla presenza dei religiosi nella nostra città, presenza ancora relativamente numerosa, anche se un po’ in declino, come del resto avviene per tutti gli ordini religiosi e per tutte le congregazioni. Durante i cinquant’anni che ho vissuto all’interno della Chiesa della nostra città, ne ho visti passare di frati, tanti e diversi, ma quelli che mi sono rimasti nel cuore sono una mezza dozzina ai quali voglio dedicare una memoria riconoscente.

Padre Simeone, con la sua barba bianca e la sua voce pacata. Non aveva una buona eloquenza, ma possedeva un cuore buono, capace di consolare e di distribuire a piene mani la misericordia di Dio.

Il cappuccino padre Sigismondo, sempre presente e sempre disponibile a fare un piacere ai poveri parroci. Arrivava perfino a fare qualche piccolo sotterfugio di nascosto dei suoi superiori pur di dare una mano.

Padre Francesco Ruffato, l’intellettuale ricco di una carica umana che ha dato vita ai maggiori supporti della cultura cristiana in città.

Padre Evaristo, il frate degli operai del dopoguerra, che aveva una schiera infinita di postulanti per un posto di lavoro. Viveva da assediato ma a tutti dava una speranza.

Padre Matteo, parroco dell’Addolorata, anima ardente, apostolo ottimista e ricco di fede che si è speso per la sua gente senza risparmio.

Padre Antonio, il frate degli stabilimenti di Marghera, apostolo serio e impegnato, poche parole ma fedeltà assoluta alla sua missione.

In questo mezzo secolo saranno passati per Mestre tanto altri bravi frati, ma questi sono quelli che hanno brillato di una luce più bella e più intensa.

Il traguardo finale

I frati si stanno modernizzando. Ad Assisi e Pompei fanno a gara ad organizzare megaconcerti con i cantautori meno lontani dalla religione.

Qualche domenica fa, nel primo pomeriggio, mi è capitato di vedere e ascoltare in televisione un megaconcerto condotto da Giletti, il giornalista scapolo della Rai che è sempre disponibile a dare una mano ai religiosi. In quella serata si alternavano canzoni all’esterno della Basilica della Madonna del Rosario ed interviste di Giletti all’interno del tempio voluto da Bartolomeo Longo.

Giletti ha intervistato Vecchioni, il quale ha confessato che la speranza fa da supporto alla sua fede. Poi ha intervistato il vescovo Comastri. Infine un certo monsignore che ha conosciuto personalmente madre Teresa di Calcutta.

Giletti ha chiesto al suo interlocutore quale fosse la dottrina di fondo di questa donna di Dio, lui le ha risposto che per madre Teresa il silenzio e l’umiltà hanno come frutto la preghiera, la preghiera a sua volta produce la fede, la quale genera l’amore. Non ricordo proprio bene i primi passaggi, ma sono certo dell’ultimo: “la fede non ha come fine se stessa, ma di natura sua deve generare l’amore”.

Credo che san Giacomo sia del tutto consenziente ed io pure, checché ne possano pensare tutti i teologi e tutti i mistici di questo mondo! Credo che se tutti la pensassero così, la Chiesa avrebbe più credibilità e seguito anche nel mondo di oggi e non andrebbe a morire in quei riti che pochi ritengono importanti per la vita.

Prediche noiose

Ho letto recentemente la critica di un volume che ho subito ordinato. Un certo monsignor Giulio Dellavite, che non so chi sia perché di monsignori ce ne sono una caterva, lo avrebbe scritto con l’intenzione di ricondurci al Vangelo per riscoprirne il gusto.

La cosa mi ha incuriosito, il fatto poi che il volume sia edito dalla Mondatori mi è garanzia del suo valore. Mi son detto subito: “Vuoi vedere che ho incontrato finalmente chi mi può insegnare a predicare; anche se sono alla fine mi piacerebbe terminare in bellezza i miei sermoni domenicali, sempre tanto sofferti!”. Con mia felice sorpresa, a questo proposito, mi sono imbattuto in una perla veramente preziosa. Il cardinale Ratzinger, attualmente Papa Benedetto XVI, avrebbe detto: «Il miracolo della Chiesa è di sopravvivere ogni domenica a milioni di pessime omelie».

Confesso che immediatamente il diavoletto che fa da contrappeso al mio angelo custode, mi ha subito fatto osservare: «Perché qualcuno dei tuoi capi non ricorda a Papa Benedetto che sebbene sia il pontefice non deve rimanere dentro la categoria dei preti noiosi: i suoi discorsi saranno pur pregni di teologia, ma non sono proprio esaltanti!».

Spero che qualche cardinale ceda alla tentazione di ricordarglielo. Nel frattempo mi rassereno col consiglio che Mauriac dà ai fedeli: «Non giudicate Dio dalla balbuzie dei suoi ministri»!

La supplenza

Don Gianni, il giovane e dinamico parroco di Carpenedo, purtroppo solo in parrocchia, m’ha chiesto di sostituirlo per la celebrazione della messa durante le sue “vacanze”. L’ho fatto molto volentieri sia perché mi era possibile, sia perché mi dava modo di tornare nella chiesa tanto amata in cui ho trascorso 35 anni della mia vita.

Ho celebrato una messa prefestiva e quelle durante un’intera settimana.

Confesso che avevo paura di rimanere deluso, di trovare una “chiesa estiva” vuota di fedeli. Invece no! La messa prefestiva era affollata e quelle dei giorni feriali con un buon numero di fedeli, così da farmi tanto felice. Molti volti mi erano noti, ma ho visto anche fedeli che non conoscevo, segno che la comunità continua ad essere viva e a rigenerarsi continuamente.

Mi si dice che in città tante chiese sono chiuse o semichiuse, che diminuisce il numero de “L’incontro” perché la gente è via. A Carpenedo non è così, infatti non ho diminuito di una copia il periodico per quella chiesa. Spero tanto che la mia vecchia parrocchia non sia rimasta l’unica oasi verde nel deserto.

Le vacanze del prete

Quanto sono insofferente e critico nei riguardi del “prete borghese” e funzionario tranquillo dell’azienda Chiesa, altrettanto e più sono ammirato dal prete che non si risparmia e si spende per la sua comunità, non a parole ma con i fatti.

Qualche tempo fa don Gianni, l’attuale parroco di Carpenedo, è tornato dal campo dei suoi scout: 180 ragazzi sotto le tende. Ma all’inizio delle sue “vacanze” aveva guidato il grest in parrocchia, 130 ragazzi, e dopo, nella casa di montagna della comunità, la Malga dei Faggi, tre turni di ragazzi e giovani.

Non sono moltissimi i preti di questo stampo, ma fortunatamente ce ne sono ancora. Se potessi dare un consiglio a chi colloca preti appena sfornati dal seminario, gli direi: «Fategli fare un’esperienza in una di queste parrocchie che funzionano, perché non potranno mai dire “non è possibile!” e non potranno mai rassegnarsi al deserto o ad una sopravvivenza parrocchiale stantia».

Umanesimo integrale

Penso che i brani del Vangelo di san Giovanni di qualche domenica fa ci abbiano fatto conoscere la genesi di quella splendida opera di Maritaine: “Umanesimo integrale”. Mi pare di incontrare molti discepoli di Gesù che hanno affrontato e trovato un certo equilibrio tra immanente e trascendente, tra spirito e materia, tra azione e contemplazione, tra razionalità e sentimento, tra vita privata e vita sociale. Abbiamo l’idea della visione della vita offertaci da Cristo.

Per Maritaine Gesù ci offre un modello della sua concezione dell’uomo: egli è integro quando sviluppa con decisione le due dimensioni. La prima è la dimensione verticale che si rifà ad una concezione del rapporto con Dio che ci ha creato, che ci ama, che rimane in ogni caso accanto a noi e che ci aspetta in fondo alla strada per offrirci una vita nuova e migliore. La seconda, che incrocia la prima, è quella orizzontale, per cui l’uomo si accorge e stabilisce rapporti corretti, giusti e pacifici, con le persone che incontra nella sua vita. Da questi incontri essenziali e portanti nasce tutta l’impalcatura su cui l’uomo deve sviluppare la sua vita perché essa si realizzi compiutamente.

Sburocratizzare – semplificare

Qualche settimana fa lo studio di architettura Mar e consociati mi ha portato la documentazione per richiedere la concessione edilizia per il “don Vecchi 5”. Ho dovuto apporre una cinquantina di firme su un carteggio dell’altezza di più di mezzo metro.

Capisco che quella pratica permette ad un centinaio di burocrati di avere uno stipendio per mantenere la loro famiglia, però devo convenire che il problema della burocrazia è diventato impossibile. L’uomo scompare, oggi diventa un elemento secondario di fronte alle carte.

Ricordo il romanzo “La venticinquesima ora”, ove il destino dell’uomo era segnato da un contenitore di cartelle. Capisco le esigenze di una vita organizzata, però quando l’aspetto burocratico, organizzativo, diventa tanto mastodontico, l’uomo singolo è perduto, smarrito, sommerso. Così è per qualsiasi società, Chiesa compresa. Le commissioni, i comitati, le congreghe, diventano talmente opprimenti e complicati da perdere totalmente i rapporti vivi con la base.

Talvolta sono arrivato all’assurdo di pensare che se per un bradisismo I centri della burocrazia sprofondassero nella laguna, noi cittadini ne avremmo solo vantaggio, perché neanche ci accorgeremmo della loro scomparsa o ce ne accorgeremmo solamente perché arriverebbero meno circolari.

Tra gli aspetti nefasti del comunismo la burocrazia occupa un posto importante. Il brutto è che anche tutte le altre organizzazioni centrali sono state infettate da questo virus.

Marta e Maria

Il problema del rapporto tra misticismo ed operatività è vecchio almeno quanto il Vangelo, ma io credo che sia vecchio come il mondo. La pagina del Vangelo che mette a fuoco la mentalità delle due sorelle di Lazzaro, l’amico di Gesù, Marta e Maria, lo sta a dimostrare.

Pare che Gesù dia un punto in più a Maria, la contemplativa. Infatti Gesù esclama: «Marta, Maria ha scelto la parte migliore».-

L’esegesi del passo ci porterebbe molto lontano, ma sta di fatto che la contemplazione di Maria è stata favorita all’attività di Marta che ha pulito la casa e preparato il pranzo. Comunque anche Marta è diventata santa!

Credo che ambedue queste verità vadano curate e coordinate. Gli antichi dicevano: “Unum facere et alterum non omittere” (bisogna far questo senza omettere quello).

L’uomo è composto, secondo la visione di san Tommaso, di anima e di corpo, due unità inscindibili. Non esiste un’anima senza il supporto del corpo, né un corpo senza lo spirito che gli dà vita. Il difficile è trovare il giusto equilibrio, però questo non è impossibile, anzi è necessario.

E’ vero che, tutto sommato, siamo propensi a favorire i bisogni immediati, ma ragionando un po’ si arriva a capire che è necessario avere motivazioni tali che sorreggano l’impegno. E questo si chiama riflessione, contemplazione.

La pala d’oro

Qualche anno fa il patriarca Scola diede vita ad una bella iniziativa che purtroppo non ebbe seguito; convocò a Villa Visinoni di Zelarino tutti i responsabili delle organizzazioni di carità della diocesi. In quella occasione ebbe una bellissima espressione affermando che queste strutture caritative le considerava “la pala d’oro della Chiesa veneziana”.

Non so se tutti sappiano che nella basilica di San Marco si trova una “pala d’altare”, ossia un “dosso”, che fa da parete sul retro dell’altare, di straordinaria bellezza e ricchezza (su una lastra d’oro sono incastonati innumerevoli pietre preziose che, assieme, costituiscono un ricamo di rara eleganza e armonia). La pala d’oro è certamente l’arredo più prezioso esistente in quella perla d’arte che è la basilica di San Marco, che è reputata una delle chiese più originali e più belle del mondo intero.

A quella riunione in cui i vari responsabili hanno descritto la loro struttura, le relative potenzialità e problematiche, ne seguì un’altra a cui non potei partecipare, poi la cosa morì così.

Ritengo che sia quanto mai urgente ed importante mettere in rete queste strutture in modo da coordinarle e dare finalità più precise e più rispondenti ai bisogni e alla sensibilità moderna. Penso che alla Caritas diocesana spetti questo compito, spero quindi che il nuovo Patriarca metta in moto questo organismo per superare l’arcipelago caritativo che è per fortuna esistente, ma anche migliorabile.

Suor Laura Piazzesi

La sorella di suor Laura Piazzesi mi ha telefonato per annunciarmi la morte della nostra amata e stimata missionaria nelle Filippine.

Suor Laura mi voleva bene ed io ricambiavo questo affetto ed avevo per lei una forte stima. Il legame con questa suora durava da lunga data, sono stato compagno di classe di suo fratello Giorgio e sempre vicino alle sorelle che ho incontrato quando facevo l’assistente dei maestri cattolici.

Suor Laura è stata veramente una splendida figura di missionaria, intelligente, generosa e coerente, ha amato la sua missione più della sua stessa vita. Infatti ha sempre desiderato morire tra la sua gente ed ha voluto essere sepolta in quella terra amata.

Suor Laura, che fu economa generale delle Canossiane, era una manager nata, missionaria all’antica, ma moderna allo stesso tempo. Ricordo con nostalgia le sue lettere colte ed affettuose, il suo amore materno per i suoi poveri, le sue imprese coraggiose ed innovative. Mestre, e soprattutto la Chiesa mestrina, può andare veramente orgogliosa di questa concittadina.

Spero tanto che qualcuno la faccia conoscere con parole più adeguate delle mie alla città. Il tempo non è riuscito a scalfire la sua fede ed il suo amore al prossimo. La sua bella figura di donna ricca di intelligenza e di umanità, rimane un punto luminoso di riferimento per quello che riguarda l’ansia di aiutare i fratelli più poveri, offrendo loro il pane e, nello stesso tempo, il messaggio cristiano.

Le badanti

Quando io ero bambino, nel mio paese di campagna c’erano ancora famiglie di contadini composte da trenta, quaranta persone. I vecchi morivano in casa, serviti e riveriti da figli, nipoti e nuore, Non vivevano in Paradiso neppure i vecchi di sessanta, settanta anni fa, perché la povertà rendeva difficile la vita, ma non si sentivano certamente soli e abbandonati.

Ora ai vecchi sono riservate due soluzioni: la casa di riposo, oppure la badante. Questa è la sorte di quasi tutti, al di fuori dei pochi privilegiati dei Centri don Vecchi.

Le case di riposo sono assai costose e perciò guardate con estrema preoccupazione, ma anche quando qualcuno riesce ad entrarci, la vita è anonima e in mano a mercenari. La badante è, tutto sommato, una soluzione migliore, quando l’anziano è fortunato e gli capita una donna di cuore.

Talvolta, facendo il funerale di questi derelitti, vedo che la badante è la più addolorata, o perché si era affezionata al vecchio vivendo assieme da mattina a sera, o perché, purtroppo, perde il lavoro.

Di frequente i nostri vecchi non sono troppo buoni con queste creature che tentano di sfuggire alla miseria dei loro Paesi; le ritengono a torto la causa dell’allontanamento dei figli. Ultimamente però mi sono imbattuto in alcuni casi nei quali l’anziana assistita ha fatto testamento a favore della badante. Questa soluzione, se annunciata per tempo, potrebbe rendere meno amara la condizione dei nostri vecchi.

“Congedali!”

Non ricordo più se sia stato l’apostolo Filippo o Andrea, o se fossero tutti e due che, vedendo la fame della folla che da un paio di giorni ascoltava Gesù, gli consigliarono di congedare tutta quella gente perché potesse approvvigionarsi personalmente.

Gesù non fu dello stesso parere. La tentazione di “scaricare” i poveri è ancora ben presente tra i discepoli di Gesù. Qualcuno si rifugia ancora tardivamente sulla concezione marxista che è l’ente pubblico che deve provvedere a tutti i bisogni dei cittadini, e non s’è ancora accorto che neanche il comunista più convinto afferma ancora questa dottrina, fallita più rovinosamente del muro di Berlino.

E’ un pretesto bello e buono chiudere il cuore e la porta quando il povero tenta di coinvolgerti nelle sue difficoltà. Oggi anche tra le amministrazioni vetero-comuniste questa dottrina è abbandonata se non altro perché troppo onerosa ed impossibile.

Oggi si parla di sinergie tra l’ente pubblico e il privato sociale. Questa virata di bordo così radicale da parte dei Comuni impegna maggiormente il privato sociale del quale le parrocchie dovrebbero essere la punta di diamante.

Scaricare il povero è sempre una bestemmia contro la società e contro la fede.

L’infallibilità non è cosa di questo mondo

Il cardinale Scola, il nostro vecchio Patriarca, era un po’ propenso alle sentenze e alle immagini che facevano colpo. Talvolta erano pertinenti ed efficaci, ma tal’altra facevano cilecca.

Disse un tempo, con una certa prosopopea: «Le vacanze non sono un diritto, ma un dovere». Spero, non essendo mai stato d’accordo in proposito, di non essere accusato di eresia. Io non credo che vacanze, orario di lavoro, riposi, siano diritti sindacali dei preti e facciano parte della tradizione o della prassi dell’ascetica sacerdotale, ma siano invece fughe per la tangente dall’impegno sacerdotale. Né sono d’accordo con quei frequenti suoi discorsi sulla “pratica del gratuito”. La frase suona bene ed è assai moderna, ma io credo molto di più a chi fa l’elemosina e pratica la carità semplicemente.

Dato poi che sono sull’argomento, vorrei aggiungere che non credo punto a quelle prediche che parlano con squisita eloquenza della “carità soprannaturale”; ad esse preferisco di gran lunga lo sporcarsi le mani per i poveri, anche se questo impegno non risolve i problemi alla fonte.

Un giorno ho presentato ad un qualificato prelato della diocesi gli operatori della solidarietà parrocchiale, ma con costernazione di tutti, e mia in particolare, questo prelato affermò che la vera carità sta nello scoprire il volto amabile di Gesù. Cosa c’entrasse e volesse dire non l’ho ancora capito!

Ideali con le gambe

Ho già scritto di ciò che l’onorevole Vincenzo Gagliardi, l’ex dirigente dell’Azione cattolica veneziana prestato al partito della Democrazia Cristiana, mi ha insegnato tanti anni fa. L’onorevole deputato mi disse un tempo che passano ed attecchiscono solamente i valori che hanno le gambe! Quando gli chiesi ciò che significasse questo discorso per me ermetico, mi rispose che incidono nella coscienza dei cittadini solamente i discorsi e i messaggi vissuti da chi li offre agli altri.

Questa formula la adopero da allora come la prova del nove nei riguardi dei politici, uomini cultura, sociologi, preti o vescovi che siano. Quando li vedo coerenti a quel che dicono, mi levo tanto di cappello e mi lascio mettere in discussione, però quando incontro il parlamentare di sinistra con lo yacht, il monsignore con la BMW, che parlano con enfasi di carità o di solidarietà, definisco subito questi discorsi come “aria fritta” e specchi per le allodole; e perciò mi volto dall’altra parte.