Tribunali mai nati

Sarà perché ogni giorno passa davanti ai miei occhi la miseria europea, quella africana e quella asiatica, perché al “don Vecchi” i poveri arrivano vestiti nelle fogge più diverse e parlano le lingue del mondo, che mi capita sempre più spesso di pensare che noi, paesi opulenti, siamo gli assassini e i ladri che sfruttano e rubano il necessario a molte etnie e a molte nazioni che oggi vengono a mendicare da noi il maltolto.

So che questa colpa è minimamente imputabile al singolo, o almeno solamente in maniera indiretta, avendo noi esigenze esagerate, sprecando e non premendo sui nostri governanti responsabili di guidare la nazione, però i veri e ben identificabili colpevoli sono i nostri governi.

Il singolo cittadino talvolta è mosso da sentimenti di pietà e talvolta apre il cuore e porge la mano a chi è in difficoltà. Mentre pare che i governi non abbiano alcuna coscienza e, meno ancora, pietà verso i Paesi di cui depredano le ricchezze, vendendo loro i prodotti non commerciabili in Europa, impiantando le fabbriche più inquinanti e nei quali trasportano i veleni dei rifiuti dei loro stabilimenti industriali.

Quando i poveri del mondo si affollano al “don Vecchi” per chiedere generi alimentari, vestiti o mobili, tutti noi ci sentiamo dei gran benefattori, offrendo loro abiti usati e non più alla moda e generi alimentari vicini alla scadenza e non ci ricordiamo che i nostri governi assieme alle grandi aziende, depredano i beni più preziosi che questi popoli posseggono e pagano in modo irrilevante cinesi e indiani che confezionano i nostri vestiti.

Purtroppo non è ancora nato nel mondo un tribunale che condanni e punisca i “delitti commerciali” perpetrati dai governi della nostra vecchia Europa e dell’America del nord. Però, prima o poi, verrà!

I poveri di famiglia

Ieri ho fatto qualche annotazione amara circa l’organizzazione e la pratica della virtù cardinale della carità all’interno delle comunità parrocchiali. Non è la prima volta che lo faccio e certamente non sarà l’ultima. Sono ben consapevole della sorte toccata al “grillo parlante” del Collodi, però ci sono delle denunce talmente doverose, che credo si debba essere disposti a pagarle anche a caro prezzo.

Senza scomodare i termini impegnativi quali testimonianza o profezia, guai se verranno a mancare le voci scomode che denunciano storture, carenze e deviazioni.

E’ più che mai doveroso affermare a chiare lettere che una parrocchia che non abbia una lucida conoscenza dei suoi poveri – e col termine “poveri” intendo non solamente quelli che non riescono ad avere il necessario per vivere, ma anche gli infermi, gli anziani soli, le persone colpite da drammi gravi, disoccupati, ecc. – non è una parrocchia che possa fregiarsi del titolo di comunità cristiana.

La solidarietà esige conoscenza aggiornata e capacità di risposta, avendo a disposizione personale e mezzi da impiegare. In una città come la nostra c’è pure l’esigenza di strutture e servizi a livello cittadino, cosa che una singola comunità, per quanto grande e ben organizzata, non riesce a promuovere e sostenere, e che perciò devono essere promossi e gestiti dalla collettività nel suo insieme – e qui torno ancora una volta al progetto della “cittadella della solidarietà” che dovrebbe nascere ed essere gestito con la collaborazione dei singoli e delle comunità parrocchiali.

Ogni parrocchia però, se vuol essere non solo di nome ma anche di fatto una comunità cristiana, non può prescindere da un minimo di organizzazione interna, attraverso la quale si fa carico dei suoi fratelli fragili e bisognosi di aiuto. Oggi però questo avviene in un numero assai ridotto di comunità parrocchiali.

La comunità

Nella Chiesa s’è sempre parlato di comunità, ma ai nostri giorni se ne parla più di sempre.

Monsignor Vecchi, che cito di frequente e non potrei fare altrimenti, perché lui fu uno dei maestri che incise maggiormente sulla mia educazione – era solito dire che quando si cita tanto di frequente un termine, significa che la gente ha già smarrito la sostanza. Credo che avesse ragione perché le nostre comunità di fede, ossia le parrocchie, a livello di spirito comunitario sono tanto striminzite e carenti, per cui il dialogo tra i loro membri e l’aiuto reciproco sono pressoché venuti meno. Se poi si esamina con obiettività e sano realismo l’impegno che la comunità dovrebbe necessariamente avere nei riguardi dei più poveri, c’è veramente da essere preoccupati e delusi.

Un tempo la gente si conosceva all’interno della parrocchia e quasi sempre dava personalmente una mano a chi annaspava nel bisogno, ma oggi c’è una organizzazione sociale e una mentalità che esige sempre associazioni, servizi e strutture che avvertano i bisogni e diano una risposta.

Gli strumenti nati nelle parrocchie e nell’ultimo mezzo secolo, per aiutare i poveri, sono la San Vincenzo, la Caritas – che è giunta più tardi e ne è una copia mal riuscita – e, un tempo, il tentativo del FAC (fraterno aiuto cristiano) che però mi pare sia totalmente scomparso. Al di fuori di questi gruppi caritativi si possono trovare in qua e in là, altri servizi diversi, ma sono pochi e spesso sorgono ove c’è già una sensibilità ed una qualche organizzazione di solidarietà.

La situazione, a mio avviso, è semplicemente desolante. Spero che l’anno della fede, proclamato all’interno della Chiesa italiana, produca il frutto naturale della fede che è la carità. Mi auguro che quest’anno ci sia una fioritura a livello personale e parrocchiale di questa virtù. Se ciò non avvenisse vorrebbe dire che l’anno della fede sarebbe fallito.

Il breviario quotidiano

Nel breviario, che la Chiesa mi chiede di recitare ogni giorno, vi sono delle parti, sia delle “letture” che dei salmi, che trangugio come l’olio di ricino che mia madre mi imponeva ogni volta che avevo fatto indigestione. Tutto il breviario dovrebbe essere preghiera, però io penso che possa avere questa valenza solamente se il Signore accetta la fatica che faccio nel leggere cose tanto lontane dalla mia sensibilità e dalla mia coscienza.

Spesso certe omelie dei Padri della Chiesa e pure certi salmi che mi vengono proposti li sopporto solamente se li accetto come un “fioretto” da offrire al Signore. Credo che avrò qualche merito solamente perché mi costa pronunciare certe frasi e leggere certi discorsi che mi sono totalmente estranei. Mentre talvolta mi imbatto in certe preghiere che sono veramente deliziose e che mi coinvolgono fino al midollo del mio spirito.

Qualche sera fa, a compieta, la preghiera diceva pressappoco così: “Signore ti prego che i semi di bene che in questi giorni ho seminato nel cuore delle persone che ho incontrato abbiano a fiorire e portar frutti abbondanti”. Da un lato mi incantava che certi gesti, certe parole e certe scelte che forse, neanche con troppa attenzione, ho offerto al mio prossimo, con l’aiuto di Dio, possono portar frutto. Dall’altro lato mi nasceva nel cuore la preoccupazione di aver seminato nel campo del Signore come “l’uomo nemico”, della gramigna.

Questi pensieri sviluppano nel mio animo una sana dialettica, che mi spinge ad una preghiera vera ed accorata e mi fanno desiderare ardentemente di crescere nello spirito.

L’anno della fede

La Fondazione Carpinetum sta perseguendo un progetto, un sogno, o forse un’utopia. Però sono convinto che essi siano i più validi per celebrare seriamente l’anno della fede, che per essere autentica e credibile deve diventare solidarietà.

La Cittadella della solidarietà sarebbe così il frutto più genuino dell’anno della fede. Per quanto riguarda il progetto, avendo la curia avocato a sé la sua realizzazione, mi pare che ai fedeli della base rimanga solamente il dovere di pungolo, cosa che speriamo facciano.

Per quanto riguarda invece il “Villaggio solidale degli Arzeroni” il finanziamento per il “don Vecchi 5” c’è quasi già. Per tutto il resto (l’ostello per i famigliari degli ammalati, degli operai ed impiegati poveri, dei senzatetto, gli appartamenti per i mariti divorziati, gli alloggi per il vecchio clero, gli alloggi per i disabili e quant’altro) penso che la Fondazione possa offrire alle parrocchie principali la possibilità di realizzare ognuna una di queste strutture. Volete che San Lorenzo, il Sacro Cuore, via Piave, non possano fare quello che Carpenedo ha già fatto? Per le parrocchie più piccole potremo proporre degli abbinamenti: San Pietro Orseolo con Santa Maria Goretti, la Favorita con San Lorenzo Giustiniani, ecc.

Se per la fine del 2013 a Mestre ci sarà questo gran cantiere della solidarietà, credo che sarà meglio del coro della Fenice per cantare la gloria di Dio.

Il Patriarca Luciani

Rai tre in questo ultimo tempo ha offerto degli ottimi servizi sugli avvenimenti principali della seconda metà del secolo scorso. Ho seguito con interesse quei documentari perché gli avvenimenti descritti li ho vissuti in prima persona anche se dal “loggione”, o guardando per il buco della chiave.

Queste ricostruzioni storiche mi hanno offerto dei tasselli interessanti, che io non avevo colto perché offerti dalla stampa che quasi sempre legge gli avvenimenti da un punto di vista interessato. Ad esempio io non avevo colto fino in fondo il fatto che la IOR, banca vaticana, ha venduto a Calvi, tramite la mediazione di Sindona, su ordine di Marcinkus, la Banca Cattolica, quel gioiello di famiglia dei cattolici veneti che essi avevano costruito con tanti sacrifici.

Aldo Nicolussi, il mio vincenziano direttore di suddetta Banca, non lasciava passare occasione per condannare i vescovi del Veneto per aver ceduto anche “quella perla di gran valore!”. Ora però, che ho capito come il nostro Patriarca Luciani ha dovuto amaramente subire “l’esproprio” di questo ente da parte del Vaticano, ancora una volta mi sento portato a rivendicare l’autonomia di scelte e di giudizio da parte delle Chiese locali, che non dovranno ridursi a pedine in mano di poteri occulti che tramano da lontano. Credo che anche a questo livello il concetto di corresponsabilità dei fedeli col loro vescovo e di apporto critico, vada ripensato, ma soprattutto valorizzato.

“L’amico” del clero

Un tempo si stampava “Amico del clero”, una rivista che dava anche dei buoni suggerimenti, ma era soprattutto preoccupata di informare su tutti i diritti dei preti. A quei tempi la curia ci abbonava obbligatoriamente a questo periodico.

Io, che allora ero molto più garibaldino di adesso, respinsi la rivista affermando che essa rappresentava sostanzialmente un vero “nemico” perché sempre preoccupata di difendere i diritti del clero. Per me il prete deve essere sempre in prima linea, fuori dalla trincea, se vuole avere l’autorità di guidare i cristiani verso una vita di impegno e di servizio.

Qualcuno mi ha detto che dopo Mazzini in Italia non c’è più stato nessuno che abbia parlato dei doveri dei cittadini. Oggi credo che sia male blandire il ceto sacerdotale, mentre sia giusto ricordare che per quanto i preti si impegnino, sono ben lontani dall’essere in croce come il nostro Maestro. In tempi difficili credo si debba ricordare che la dedizione per le anime deve essere ancora maggiore di sempre.

Fuoco “amico”

Il 27 luglio il Gazzettino annunciava, con un articolo a quattro colonne, che “Il Consiglio comunale, in seduta notturna, con un voto bipartisan” aveva sdoganato il “don Vecchi 5”. Traduco: il Consiglio comunale di Venezia aveva deciso di concedere alla Fondazione ventisettemila metri quadrati di terreno in località Arzeroni in uso di superficie, ossia il suolo rimaneva di proprietà del Comune, ma concedeva alla Fondazione Carpinetum di costruire, a proprie spese e di gestire per 90 anni il “don Vecchi 5” che vi sarebbe sorto.

Un paio di settimane dopo mi è arrivato un messo comunale con il documento della comunicazione ufficiale. Da questo documento ho appreso che Bonzio, di Rifondazione Comunista, aveva votato contro, i due consiglieri della Lega si erano astenuti e un paio di socialisti, tra cui il capo dei miei chierichetti di un tempo, erano usciti in occasione della votazione.

Io sono del parere che si debba costantemente interloquire con i nostri amministratori. Ho scritto a quello di Rifondazione Comunista: “Non mi sarei mai aspettato che proprio Lei, che ha fatto la ragion d’essere della sua politica la difesa dei poveri, avrebbe votato contro”. La stessa cosa ho fatto con gli altri, non essendo però valide per questa gente, le regole della buona creanza, nessuno mi ha risposto. Ora spero che per le nuove votazioni girino al largo da noi!

Delusione monetaria

Una signora, con un po’ di rammarico e tristezza, mi ha portato la bella somma di cinquecentomila lire, somma che un tempo aveva nascosto per paura dei ladri e che in questi giorni aveva riscoperto per caso.

Aveva telefonato alla banca d’Italia per scambiarle in euro, ma le hanno risposto che sono scaduti i termini per questa operazione. Non se l’è sentita di buttarli nel cestino dei rifiuti e perciò li ha portati a me sperando che, “date le conoscenze”, trovassi il modo di recuperarli.

Ho immediatamente telefonato al mio “consulente” bancario il quale, con mia somma gioia, mi ha detto che quei soldi erano recuperabili facendo una certa pratica.

La doccia fredda però arrivò immediatamente quando gli dissi che mettevo a disposizione i duecentocinquantamila euro, che avrei ottenuto dalla Banca d’Italia, per costruire la strada per il “don Vecchi 5”. Al che il consulente, che è direttore di banca, mi rispose che al mezzo milione di lire corrispondono 250 euro, cifra ben diversa dalle mie aspettative.

Rimasi assai deluso, ma poi ho pensato subito di consolarmi: “Piuttosto di niente ben vengano i 250 euro!”.

Sennonché seconda delusione: le vecchie lire non sono assolutamente più recuperabili.

Cinque e un quarto

Le giornate lavorative per un anziano naturalmente si accorciano. Una ventina di anni fa la mia giornata lavorativa si divideva in tre parti: la mattinata, il pomeriggio e il dopo cena. Ora la terza parte è completamente saltata; dopo cena il cervello si intorpidisce e finisce per sonnecchiare comunque, anche se mi legassi alla scrivania come l’Alfieri. Non so perciò che vantaggio ne avrà l’Italia prolungando l’età pensionabile come si sta tentando.

Comunque non mi sono rassegnato a perdere un tempo che si fa sempre più prezioso e quindi ho trovato un escamotage iniziando un po’ più presto la mia giornata. Ora la mia sveglia suona alle 5,15. Il recupero mi è facile perché le mie notti diventano ogni giorno più lunghe. Prima saldo i miei debiti col Signore col dedicarmi alle pratiche di pietà, poi, prima della parca colazione, dedico un po’ di tempo alla lettura. Con questo piccolo stratagemma mi pare di riuscire a combinare qualcosa di più, o perlomeno a far quadrare i conti con ciò che credo che dovrei ancora fare.

Partenza solitaria

L’agenzia di pompe funebri aveva fissato il funerale per un certo giorno e per una certa ora. Ho telefonato a casa della defunta per conoscere dalla sorella colei che l’indomani avrei salutato e soprattutto per cui avrei pregato il Signore. La congiunta che avevo contattato era stata un po’ freddina, quasi meravigliata che il prete volesse conoscere chi avrebbe presentato al buon Dio.

Dopo poche ore infatti l’agenzia mi ricontattò per avvertirmi che i parenti avevano cambiato idea rinunciando al commiato cristiano. Ci rimasi molto male anche se di questa creatura avevo conosciuto poco più che il nome. L’indomani quattro operatori cimiteriali avrebbero calato nella fossa una bara, probabilmente senza una croce, senza un saluto, senza chi raccogliesse e donasse ai fratelli ciò che di buono certamente ella aveva fatto. Un velo di tristezza avvolse il mio animo.

Tra non molti anni i miei colleghi preti più giovani dovranno però abituarsi a questi funerali senza fede e senza speranza. La nostra terra sta incominciando a conoscere la desertificazione.

Ho deciso però che l’indomani avrei deposto su quella bara solitaria e più triste del solito le parole della misericordia del Signore e avrei chiesto con maggiore insistenza al mio Dio di non rifiutarle l’abbraccio riservato al prodigo, perché forse ella non ha avuto il tempo e il modo per pentirsi o, peggio ancora, non ha incontrato chi le abbia parlato con fede autentica e viva dell’amore del Padre.

Il diacono del deserto

Un concittadino che oramai da trent’anni lavorava in un deserto del Medio Oriente, è ritornato in aereo qualche giorno fa, per trovare adeguato commiato e sepoltura in terra cristiana. L’ha accompagnato nella mia umile chiesa, perché gli si concedesse “il biglietto d’entrata in Paradiso”, un suo collega di lavoro a cui, pur lavorando come tutti gli altri, era stata affidata la cura spirituale della piccola comunità di cristiani in quel lontano mondo contrassegnato dalla mezza luna di Maometto.

In attesa dell’orario per la messa, mi parlò della sua pastorale. Ogni sera recita del rosario, ogni mese ritiro spirituale e, quando un prete indiano aveva la possibilità di passare di là, Santa Messa per tutti. Rimasi edificato da questo cristiano così convinto e così entusiasta della sua missione.

Al funerale non c’era molta gente: il figlio ed alcuni funzionari della Montedison. Il diacono lesse le letture e animò la messa con alcuni canti, intonati “alla Pavarotti”. Eravamo in pochi, però questo servo del Signore non solo riempì la chiesa come ci fosse il coro della Fenice, ma di certo raggiunse con la sua voce e la sua fede il trono di Dio.

Un progetto per un nuovo servizio

Una volta in occasione della Cresima o della Prima Comunione, le nostre mamme uccidevano un gallo e facevano una pastasciutta col suo sugo, oppure una gallina per fare il riso in brodo con le bollicine di grasso. Talvolta si spingevano a fare pure un dolce – qualche uova, un po’ di burro e di zucchero – si allungava la tavola per qualche parente.. ed era fatta! Per i matrimoni le cose non erano tanto diverse, forse c’era sempre pollame arrosto e bollito di manzo, ma non ci si poteva spingere troppo oltre.

Ora per i compleanni, gli onomastici, promozioni, battesimi, Prime Comunioni e Cresime a nessuno passa per la testa di festeggiare in famiglia, ma si pensa subito al ristorante o, al minimo, all’agriturismo. Le case sono piccole e le mamme, almeno per queste occasioni, si dice sia doveroso non impegnarle.

Il risultato di questo cambiamento di costume è che si va da un minimo di 25 euro a persona a cento euro e più.

Noi al “don Vecchi” abbiamo al “Seniorrestaurant” una cucina attrezzatissima, un salone da gran galà ed ora avremo un catering che gestisce la preparazione dei pasti con un cuoco provetto. Ci siamo detti: “Perché non possiamo offrire alla povera gente o anche a quella intelligente e parsimoniosa di poter festeggiare questi eventi lieti e mangiare assieme in un ambiente signorile, con un menù sobrio ma diverso dal solito, al costo di 10 o al massimo di 15 euro a testa?

Ora stiamo lavorando. Se riusciremo a mettere assieme catering, volontari e Fondazione, per l’autunno lanceremo questo nuovo servizio a favore del prossimo.

Il laico Gesù

Sto riflettendo con sempre più interesse sul fatto che Gesù non entrò mai a far parte della gerarchia ecclesiastica. Non faceva parte del Sinedrio, né era un levita, tanto meno un fariseo o uno zelota; anzi, ebbe parecchi scontri con gli ecclesiastici del suo tempo, ossia con coloro che gestivano la Chiesa di allora, tanto che essi se la legarono al dito e quando capitò loro l’occasione opportuna lo mandarono a morte.

Mentre appare chiaramente e tante volte dal Vangelo che Gesù fu un uomo profondamente religioso: pregava prima dei pasti, invocava il Padre Celeste nei momenti più importanti, faceva spessissimo la carità, passava nottate in preghiera e aveva un rapporto costante ed intenso con Dio.

Gesù non era assolutamente né areligioso, né non praticante, però è sempre rimasto fedele alla sua coscienza e si è accostato alla sinagoga, e in essa ha preso la parola, quasi esclusivamente per difendere l’uomo e sbugiardare chi faceva un uso improprio della religione in genere e dei riti in particolare.

L’Assunta dei radicali

Per la Madonna Assunta i giornali non hanno scritto che Pannella, la Bonino e la Bernardini siano andati a messa, però ci hanno informato abbondantemente che essi si sono recati nelle carceri per verificare le condizioni disumane dei carcerati e per denunciare ancora una volta all’opinione pubblica, alla magistratura e al parlamento la situazione assolutamente intollerabile ed incivile in cui sono costretti a vivere non solamente coloro che debbono scontare una pena, ma anche coloro che da mesi e mesi sono in attesa di giudizio.

Mi sono guardato bene la pagina del Vangelo in cui Gesù ci ha anticipato i criteri con cui saremo giudicati. Ho scoperto con sorpresa che mentre è titolo per “entrare nel gaudio di nostro Signore” il visitare i carcerati, non compare affatto che l’andare a messa a Ferragosto sia titolo per la salvezza.

Una volta ancora mi par di capire che Gesù è venuto ad offrirci un invito ad aiutare il prossimo, compreso il peggior prossimo, ma non fa cenno al precetto festivo. Per questo importante.