Dipendenti pubblici spesso arroganti ed inefficienti

Io sono assolutamente analfabeta per quanto riguarda l’informatica; il massimo che ho raggiunto è quello di rispondere quando suona il mio telefonino. Pure nel chiamare, pur avendo davanti agli occhi i numeri grandi, mi sbaglio di frequente. Sono arrivato alla conclusione che questi sono gli inghippi causati abbastanza di frequente dalla vecchiaia.

Fatta questa premessa, vengo a una recente esperienza, che credo non riguardi solo me. Quando mi si chiede qualche articolo scrivo a mano però non so inserirlo in computer. Uno scout incontrato negli anni verdi del mio sacerdozio, sentito questo, s’è gentilmente offerto d’aiutarmi digitando questi testi in computer. Avendo egli poi una moglie maestra, mi fa pure lei il favore di metterci qualche punto, qualche virgola e di aggiustare certi periodi malconci e prolissi.

Questi cari amici abitano però in centro città e non volendo disturbarli ulteriormente facendoli ritirare i testi, ho trovato la soluzione di spedirli per posta. In linea d’aria tra il don Vecchi, ove abito, e via Tergolina, ove abitano loro, penso che non ci siano più di due chilometri di distanza, quindi ho pensato che le mie lettere sarebbero giunte in due tre giorni, poi loro che sono giovani ed esperti mi avrebbero potuto rimandare i testi via posta elettronica e quindi in tre quattro giorni avrei potuto mandare i miei articoli in redazione.

Le cose però non sono andate così. Sono occorse più settimane perché le mie lettere giungessero a destinazione. M’è parso quindi giusto scrivere alla direzione delle poste di via Torino, pregando di fare un’inchiesta per scoprire il perché di questi ritardi eterni e chiedendo comunque di essere aggiornato sull’andamento della verifica, ma non m’è giunta risposta alcuna. Ho sempre pensato che un datore di lavoro, che paga regolarmente e perfino in anticipo un servizio, abbia almeno il diritto di pretendere una spiegazione e delle scuse. La risposta m’è arrivata dopo un paio di settimane, informandomi che non è possibile controllare i percorsi e i tempi del recapito.

Scrivo queste cose, pur convinto che siano risapute da tutti, perché credo che noi cittadini non dobbiamo presentarci col cappello in mano nei riguardi di “questi nostri dipendenti”, ma dobbiamo pretendere da loro cortesia ed efficienza. Credo pure che se fossimo in molti a protestare le cose andrebbero diversamente. E’ giusto votare, ma è troppo poco; bisogna partecipare attivamente alla vita del Paese: protestare, intervenire, sollecitare affinché la burocrazia dello Stato, del parastato e del Comune compia il proprio dovere e sia più rispettosa e cortese verso i suoi cittadini.

Libero e fedele

La Chiesa, corpo mistico di Cristo, non è formata solamente dal capo ma anche da tutte le altre sue membra.

Più volte ho affermato che nei riguardi dei radicali ho sempre avuto un rapporto di “amore e odio”. “Odio” per le loro campagne a favore del divorzio, dell’eutanasia, dell’anticlericalismo radicale ed altro ancora; “amore” invece per le loro campagne a favore del terzo mondo, per la “giustizia giusta”, per l’umanizzazione delle carceri, per la “laicità” dello Stato e altro ancora!

Col passare del tempo però mi pare che stia crescendo “l’amore” e diminuendo “l’odio”; un po’ per la scomparsa di Marco Pannella e per la malattia di Emma Bonino che hanno fiaccato la capacità di denuncia da parte di questo partitino lillipuziano ed un po’ perché vado scoprendo che anche nelle loro denunce più “radicali” c’era sempre qualcosa di sano e questo mi sta sempre più convincendo che vale ancora il detto popolare che non è giusto “buttar via il bambino con l’acqua sporca”.

Faccio questa premessa per dire che un tempo mi infastidiva e da cattolico mi irritava che i radicali l’undici settembre di ogni anno, giorno della breccia di Porta Pia, andassero “in processione” a portare una corona al monumento di Giordano Bruno. Oggi forse ci andrei anch’io pensando al bene che ha fatto alla Chiesa chi si è opposto “al Papa re” dello Stato pontificio. Specie ora, che a Papa Francesco gli sono di troppo perfino i sacri palazzi tanto che è andato a vivere a Santa Marta. Tutto questo gode perfino della “benedizione papale”! Questa testimonianza mi spingerebbe a far fare una lapide in ricordo dei bersaglieri e del generale Cadorna che ha ordinato l’assalto di Porta Pia.

Qualche giorno fa ho visto su Rai Storia un servizio che trattava questo evento e Papa Pio IX ne è uscito, almeno per me, alquanto malconcio. Questo discorso mi fa concludere che anche oggi noi preti, ma pure i fedeli laici, ci rendiamo colpevoli di queste gravi ferite alla Chiesa perché priviamo le gerarchie ecclesiastiche di un rapporto filiale, ma franco, leale, onesto, dialettico, preferendo spesso ad esso un ossequio formale, codino e servile.

Sono sempre più convinto che il rapporto, la collaborazione e l’obbedienza ai “superiori” debbano avere sempre la componente della franchezza e del dissenso che nasce però da un vero amore. Io sono tanto grato a don Primo Mazzolari, che per queste scelte subì mortificazione e condanna, per avermi donato la massima a cui si rifece sempre: “libero e fedele”.

Non sono in grado di dire se i miei vescovi abbiano apprezzato questo mio comportamento, però sono contento di non averli mai traditi e mai privati del mio apporto di pensiero, sempre nato, di volta in volta, dalla mia coscienza di uomo e di figlio di Dio.

Centro don Vecchi di Marghera

A fine febbraio ho terminato la visita e la benedizione ai residenti del Centro don Vecchi di Marghera in via Carrara.

Ho sempre ritenuto che chi è incaricato della cura pastorale debba visitare il più frequentemente possibile i residenti dei 400 alloggi gestiti dalla fondazione Carpinetum dei Centri don Vecchi, ma non debba lasciar passare al massimo un anno senza fare una visita ad ognuno dei nuclei familiari che risiedono nei sei centri. Ritengo opportuno riferire in relazione a quest’ultima visita fatta al centro di Marghera, portando a conoscenza della città qualche impressione ricevuta in questa esperienza.

Il Centro don Vecchi di Marghera si trova accanto alla chiesa parrocchiale della comunità cristiana dei Santi Francesco e Chiara. E’ stato costruito sul terreno di quest’ultima mediante un accordo tra le parrocchie di Carpenedo e quella di Marghera. La parrocchia di Carpenedo ha offerto 750 milioni di lire perché fosse terminata la costruzione della chiesa parrocchiale, mentre la parrocchia di Marghera in cambio ha messo a disposizione 4000 metri quadrati di terreno, superficie sulla quale s’è costruito il centro su progetto dell’architetto Giovanni Zanetti.

Era da qualche tempo che non entravo in quella struttura, ma l’impatto è stato come sempre quanto mai gradevole da ogni punto di vista. Il fabbricato sorge al centro di un grande prato verde, che a sua volta è delimitato da un “muro” in arbusti squadrati come la lama di un rasoio. Dopo l’entrata luminosa del centro una vecchina ordinata e sorridente dalla guardiola mi ha accolto con un affettuoso saluto. Sulla sinistra ho potuto ammirare una bella mostra di acquerelli della galleria San Valentino collocata nella hall del fabbricato. Poi ho cominciato a bussare ad una ad una alle 57 porte che si aprono nel lungo corridoio di ogni piano, le pareti del quale sono tappezzate di quadri non di gran pregio artistico, ma quanto mai piacevoli e armoniosi.

Quasi tutti gli appartamenti sono arredati con buon gusto e taluni perfino con signorilità. L’accoglienza è sempre estremamente cordiale, riconoscente, i colloqui affettuosi, mediante cui ho avuto modo di apprendere le vicende spesso tristi della vita di ogni inquilino: vedove, divorziati, persone sole, pensioni sempre misere e talvolta non adeguate, figli disoccupati, comunque tutti estremamente felici per aver trovato un rifugio confortevole e fraterno. Ho rilevato qualche situazione veramente precaria da un punto di vista economico, alla quale fortunatamente potrò offrire un aiuto mediante la bella somma messa a disposizione dall’associazione “Vestire gli ignudi”.

Dalla visita poi ho avuto la riconferma che la mente e il cuore di quella piccola comunità di anziani sono i coniugi Teresa e Luciano Ceolotto, che da volontari la gestiscono come fosse la loro famiglia. A questi cittadini, quanto mai generosi e benemeriti, giunga la riconoscenza della Chiesa mestrina e dell’intera città.

Samaritani oggi

Per istinto, per educazione e per scelta mi sono sempre interessato, anzi, sono sempre stato fortemente coinvolto dai doveri che ho verso il prossimo, qualsiasi sia la sua condizione di vita.

Faticosamente sono arrivato a delle conclusioni che ho avuto modo, anzi che ho sentito il bisogno e il dovere di renderne compartecipi sia le persone con le quali vivo la mia vita, ma anche con quelli che vivono nella mia comunità cittadina.

Talvolta m’è parso che le mie conclusioni, sulle quali molto ho riflettuto e sulle quali spesso mi sono pure confrontato con gli altri a livello umano e religioso, fossero finalmente definitive e tranquille; in realtà debbo constatare che non è proprio così. So di certo che per molti altri miei colleghi le cose non stanno così e che han risolto questo problema con alcune battute: “Ci pensino i servizi sociali del Comune”, o “vadano alla Caritas o alla San Vincenzo” oppure in maniera più sbrigativa: “Si diano da fare!” Per me, non so se fortunatamente o sfortunatamente, le cose non stanno così e quel “ama il prossimo come te stesso” oppure “avevo fame, ero ammalato” ed anche “ero in carcere e tu…” mi rimangono come dei chiodi infissi nel cuore e nella coscienza e che, non appena incontro una persona in difficoltà e che mi chiede aiuto, cominciano a farmi male e a sanguinare.

Ripeto ancora una volta che mi sono ripromesso di dare uno o due euro ai mendicanti ormai endemici, di offrire un’offerta più consistente tramite il parroco del richiedente per situazioni più gravi e dedicare tutto il resto dei miei risparmi alla realizzazione di strutture, che, a detta del mio maestro monsignor Vecchi, aiutano seriamente tante persone in difficoltà non per un giorno, ma per decine d’anni e forse per secoli!

Fatta questa premessa, voglio raccontare al riguardo due casi emblematici. Circa un paio di mesi fa s’è presentata al Centro Don Vecchi una giovane donna, che ha domandato di me perché aveva una cosa urgente da dirmi. Mi disse che aveva fissato per una certa ora dello stesso giorno un esame a livello tumorale, ma non aveva gli 86 euro che le occorrevano. Ebbi subito la sensazione che l’anno scorso una signora della stessa età mi abbia presentato una situazione pressoché simile e lo stesso urgente, dicendomi che il giorno dopo mi avrebbe reso il debito, ma poi non s’è fatta più viva. Rimasi perplesso, ma poi prevalse in me il dubbio che non fosse lei. Le diedi i soldi richiesti, somma che lei mi disse che me l’avrebbe restituita il giorno dopo prima della Messa delle 10:00 che celebro ogni domenica nella chiesa del cimitero. Ella però non si fece più viva.

Eccovi la seconda storia. Ieri dalla segreteria del Don Vecchi mi telefonarono che un signore desiderava parlare con me. Andai e questi mi raccontò che era disoccupato da un paio d’anni e non riusciva a trovare lavoro, bollette ed affitto da pagare. Gli dissi che doveva rivolgersi al suo parroco, perché sono ancora convinto che ogni comunità cristiana deve farsi carico dei suoi poveri, anche se so che in realtà le cose non vanno così. Replicai: “Chi l’ha mandato da me?” Mi rispose che era stata una signora. Purtroppo è vero che ci sono signore e pure colleghi che trovano quanto mai comoda questa soluzione. Infine non sapendo che dirgli ancora, gli chiesi che professione facesse ed egli gelido ed un po’ beffardo mi rispose: “Il mendicante!”. Gli diedi 5 euro e se ne andò senza protestare. Ho chiesto lumi al mio angelo custode, ma pure lui rimane perplesso e mi sta lasciando tormentare nel mio dubbio.

Oggi mi rendo conto che è ben difficile fare il samaritano! Comunque quello della parabola del Vangelo sta là a ripetermi che egli è sceso da cavallo, ha curato il malcapitato disteso per strada, l’ha portato nella locanda e si è fatto carico della spesa! Mi chiedo: “Posso io far diversamente?”.