Chiesa del cimitero di Mestre: orari delle celebrazioni dei “Santi” e dei “Morti”

ORARI SPECIALI DELLE SANTE MESSE CHE SI CELEBRANO IN OCCASIONE DEI  “SANTI”  E  DEI  “MORTI”

MARTEDI’ 1°  NOVEMBRE “I SANTI”
ORE   9  –  10  – 11
ORE 15 CELEBRAZIONE SOLENNE DEL PATRIARCA

MERCOLEDI’ 2 NOVEMBRE “I MORTI”
ORE  9 – 10 – 11 – 15

PER LA CELEBRAZIONE DI MESSE DI SUFFRAGIO RIVOLGERSI IN SACRESTIA

Il domani di Dio

Mi pare di aver capito che i problemi della vita hanno di certo una loro oggettività, però nel valutarli influisce in maniera notevole la psiche personale e lo stato d’animo con i quali si affrontano.

Faccio questa premessa volendo riflettere, tenendo ben conto della mia pochezza intellettuale, su un problema che pare interessi un po’ tutti, ma in maniera particolare il prete, perché su questo problema egli ha investito tutta la sua vita e che col tempo è divenuto il motivo e il supporto più importante della sua esistenza.

Eccovi quindi il problema: il domani di Dio, o meglio ancora, il tema del futuro della religione e della fede. Hanno un domani queste realtà o sono destinate, in tempi più o meno brevi, all’estinzione?

Ai tempi del sessantotto avevo affrontato e sofferto questo problema, ma ne ero uscito vittorioso. Allora i giovani cantavano, perfino in chiesa, nelle canzoni d’avanguardia: “Dio è morto”, però si intendeva la fine di un dio della reazione, del passato e di una religiosità arretrata che sopravviveva e si muoveva faticosamente, perché aveva mani e piedi legati dalla palla di piombo di una tradizione oscurantistica, reazionaria e formale! Tutti sappiamo com’è andato a finire il sessantotto; forse era solamente il dramma di una gioventù che si sentiva soffocata da norme, mentalità, ed autorità che non avevano intuito che la vita non sarà mai un fatto statico, perché la continua evoluzione è una legge connaturale all’esistere.
In questi ultimi tempi, poi, il divenire ha accelerato in maniera esponenziale i suoi ritmi, spiazzando un po’ tutti e in tutti gli aspetti della vita, scientifici, culturali, religiosi ed esistenziali.

Ora, però, questo problema mi pare mi si ripresenti come un fatto che coinvolge non solamente le generazioni emergenti, ma riguardi pure gli adulti e perfino gli anziani, che sono ancora “vivi” e non intendono giocarsi la vita senza pensare, indagare e discutere. Provo a riferire alcune esperienze e letture che hanno riacutizzato questa preoccupazione già presente nel mio spirito.

Recentemente ho letto una inchiesta sul domani delle religioni in “Il nostro tempo”, rivista di un circolo cattolico di Torino. In quel giornale, si riporta un’inchiesta condotta da gente intelligente ed obiettiva, che ha interrogato un numero quanto mai significativo di giovani dai 18 ai 35 anni su questa tematica e il risultato emerso è che il problema religioso per loro non esiste, perché ininfluente nella vita ed ormai insignificante.
Ai miei occhi di prete questa lettura è risultata alquanto agghiacciante.

Pochi giorni fa ho letto pure l’articolo di fondo de “Il Messaggero di Sant’Antonio” di settembre, rivista, che sotto il titolo “Omelia ai banchi vuoti della chiesa”, fa una analisi per me pressoché angosciosa, perché enumera il crollo delle vocazioni maschili e femminili, la chiusura di parrocchie, asili ed opere religiose per mancanza di personale.
Constatazione questa che è poi sotto gli occhi di tutti.

Ma voglio riferire su due altri dati, che mi sono stati offerti da persone più vicine, e l’impatto con queste considerazioni diventa più sentito, quando proviene da qualcuno che conosci e che è impegnato nel campo della pastorale. Mio fratello don Roberto, parroco di Chirignago, lascia trasparire una settimana si e l’altra si, sul suo periodico, la delusione e lo sconforto nel constatare che ragazzi, con i quali ha vissuto delle esperienze formative e religiose veramente forti, scompaiono dalla pratica religiosa e nella stragrande maggioranza non si sposano né in chiesa né in municipio. Leggendo gli scritti di don Roberto, prete convinto e ricco di intelligenza e di iniziativa, mi pare di avvertire il fiato grosso e la sensazione dello smarrimento e della fatica di tirare avanti!

In un numero di “Lettera aperta”, settimanale della parrocchia di Carpenedo, di un paio di settimane fa, don Gianni Antoniazzi, mio successore in quella parrocchia, ha infilzato come nello spiedo alcuni altri fatti, tra i quali: la chiusura del convento delle suore di clausura, perché le monache sono ridotte a due, l’annunciato abbandono dei frati antoniani della parrocchia del Sacro Cuore ed altre notizie ecclesiali poco esaltanti.

Infine ho letto nel bollettino parrocchiale di Santa Maria Goretti un corsivo di don Narciso, altro mio cappellano a Carpenedo, nel quale si annuncia in tono quasi trionfale il ritorno delle suore nella parrocchia; il guaio è che esse sono suore indiane, che cercano probabilmente l’America in Italia!
Mentre le ragazze italiane pare pensino ad altre cose piuttosto che alla religione.

Quale pensate possa essere il risultato nello spirito di un prete quasi novantenne di fronte a tutto ciò!?
Tutti potrebbero pensare che mi sento distrutto!

Invece no, proprio no!
Credo che questo crollo religioso sia solo, o quasi, apparente.
Sono convinto che solo dopo la morte c’è la resurrezione più bella, più sfavillante, e più preziosa. E’ successo così per Gesù, pietra angolare della nostra fede e così sarà anche per la nostra fede, siamo vicino all’alba di un nuovo giorno, questi per me sono i sintomi della primavera!
Gli uomini avranno sempre, prima o poi, la nostalgia della Casa del Padre.
Ricordate il figlio minore della parabola, sbatte in faccia di suo padre la porta di casa, “dammi ciò che mi aspetta”, “voglio vivere la mia vita”.
I fiori del male sono sempre smaglianti, però quando si trovò a doversi sfamare col cibo dei porci, disse: “Mi alzerò e tornerò da mio Padre”. L’uomo ha bisogno di Dio, nessuno gli potrà mai dare quello che solo Dio gli ha dato e gli da ancora.

Confesso, quindi, che, nonostante questi fatti assolutamente negativi, rimango sereno e essi, anzi, mi fanno guardare al domani con esaltante speranza, con felice certezza che andiamo, non verso il peggio, ma il meglio, il positivo.

Per quanto riguarda la religione, ossia quel complesso di pratiche, di istituzioni, di culture e di prassi di vita, sono ancor più sereno per quello che riguarda la fede.

Qualche giorno fa, preparandomi per il commiato di un concittadino, chiesi alla moglie se egli fosse stato praticante?
Ella, con onestà, mi rispose che di certo era credente, ma non praticava, però viveva da vero cristiano; e che cosa di diverso possiamo desiderare noi preti?
Don Gino, uno tra i migliori collaboratori del mio passato di parroco, si doleva nel suo periodico perché una coppia dei suoi ragazzi, felice e positiva, non s’era sposata in chiesa; leggendolo mi sono detto: “E’ più importante un matrimonio con la corsia e la marcia di Mendelssohn, o una coppia di giovani felici che vivono con ebbrezza il meraviglioso dono dell’amore?
Io, vecchio prete, opto per questa seconda ipotesi!

Concludo dicendo: non vorrei che qualcuno mi pensasse un nuovo Martin Lutero che affigge le sue tesi contro la Chiesa; rimango invece un povero prete che cerca il bene vero.

In questo versante mi pare di vedere, in lontananza, una luce tenue, luce che ci garantisce una uscita da questo tunnel, il quale preoccupa giustamente vescovi, preti e credenti.
Per me, oggi più che mai, la fede ha un domani!

Preti, come!

Domenica 11 settembre è scoppiata una piccola “bomba” nella chiesa veneziana; don Marco Scarpa già mio cappellano nella parrocchia di Carpenedo, alla fine della messa celebrata nella sua parrocchia di San Pantalon della quale era parroco, ha comunicato ai suoi fedeli e alla Chiesa veneziana che da quel momento smetteva di fare il prete.

Don Marco ha inquadrato la sua scelta con l’armamentario proprio del politichese cattolico, rinnovando il suo affetto per i fedeli e colleghi, ha chiesto scusa ed ha promesso preghiere per tutti, finendo col dire che continuerà ad essere cristiano anche se con modalità diverse di quelle usate finora.

Il modo con cui don Marco ha presentato la sua scelta gli ha accattivato un largo consenso nell’opinione pubblica locale, quasi che la gente riconoscesse nella sua scelta non il venir meno l’impegno preso in maniera solenne ma una decisione di una persona onesta, corretta e credibile e quindi meritevole di encomio.

Un mio amico de “Il Gazzettino”, il signor Fenzo, conoscendomi come la “Betta dalla lingua schietta” mi ha chiesto con tanto garbo un’opinione; gli risposi che da un lato la cosa non mi sorprendeva più di tanto perché già da un paio d’anni m’erano giunte voci da parte di un mio collega più informato sulle vicende del clero veneziano. Comunque sono profondamente convinto che sempre si devono rispettare le scelte o i drammi personali, nostro Signore ci ha chiesto di non giudicare sapendo quanto sia difficile entrare nell’intimo della psiche umana.

Ne mi ha sorpreso la reazione positiva e quasi entusiasta da parte di qualcuno, a motivo che il processo di secolarizzazione è quanto mai avanzato e il superamento della sensibilità religiosa della tradizione è mutato ancor di più, nonostante che la prassi religiosa in pratica è ancora molto ancorata a questo passato ed è quanto mai lenta ad evolvere in rapporto alla sensibilità e la cultura del nostro tempo.

Confesso però che di istinto sono andato a ricordare un bel film di 30-40 anni fa, il cui protagonista era un celeberrimo attore francese e il cui titolo era: “Lo spretato”. La presentazione, la cornice, l’opinione pubblica d’allora era diametralmente opposta a quella attuale e si rifaceva ad una atmosfera di tradimento, di sconfitta e di fallimento.

Tanto che lo “spretato”, uscendo in strada, dopo una notte passata in un locale notturno, dice allo spazzino che scopava foglie secche e cartaccia: “Tu non raccogli rifiuti d’uomo?” Così era pressappoco stimato allora il prete che appendeva la tonaca al chiodo.

Io, ben s’intende, sono con le reazioni fatte in calle dalle donne e dagli uomini di Venezia, pur adoperando toni meno entusiasti, perché, dalla frequentazione, di sacerdoti che hanno lasciato conosco il dramma, perciò che hanno lasciato, perché in ogni modo a parer mio si tratta di una sconfitta, anche se oggi, influenzati da un laicismo strisciante, spesso la si definisce come una vittoria, una liberazione ed una scelta di onestà.

Non è però di questo che volevo parlare, ma approfitto della mia età, quasi di novantanni, che mi garantisce il disinteresse personale su queste vicende per dire la mia sul problema del celibato dei preti, che non è proprio un problema marginale nella vita della chiesa.

Il mio contributo discreto, rispettoso, ma convinto vuole essere un piccolo apporto per affrontare con più decisione un ansioso problema che pare appeso sulle nuvole e si teme che provochi un cataclisma qualora lo si calasse a terra.

Io sono del parere che prima o dopo la loro consacrazione i preti possono rimanere liberi nelle loro scelte di rimanere celebi o sposarsi.

Mi pare bello, affascinante ed opportuno che nella chiesa vi siano creature che facciano la scelta di dedicarsi “corpo ed anima” alla chiesa e ai fedeli da celibi.

Però penso pure che non vi sia motivo di alcun genere anche se chi sceglie di fare il prete lo faccia pure da coniugato.

Tutte le motivazioni contro questa tesi mi sembrano antistoriche e non religiose.

A questo aggiungo pure con estrema franchezza che ritengo che è giunto il tempo che pure le donne nubili o coniugate possono fare la scelta di servire Dio e il prossimo all’interno della comunità cristiana esercitando il ministero sacerdotale; gli argomenti contro sono per me futili, arretrati, e minimamente religiosi.

Queste scelte cambieranno la situazione precaria e preoccupante delle nostre parrocchie, creeranno discussioni e scontri, ma mi pare che questo non sia un problema. La legge della vita non è staticità ma evoluzione! Termino dicendo che se i discepoli di Gesù si ostinano a proporre il mistero cristiano con la modalità del passato finiscono per soffocarlo e tradirlo! Aggiungo in fondo che non credo che queste cose si debbono fare per trarre vantaggio e avere più fedeli nelle nostre chiese, anzi sono convinto che saranno indifferenti, vedi la situazione delle chiese protestanti, che queste riforme le hanno fatte da secoli però hanno un numero di fedeli come noi e forse meno di noi.

Queste scelte religiose vanno fatte solamente perché questa è la regola della vita che rimarrà tale perché Dio l’ha voluta cosi.

Queste sono le mie opinioni personali, però ritengo che sia l’intero corpo ecclesiale con i suoi responsabili a dover prendere le decisioni riflettendo sulla Parola del Signore e pregando lo Spirito Santo. Io mi voglio attenere alle scelte della Chiesa con fede, amore ed umiltà.

Gli incidenti di percorso ci sono sempre stati, credo che si debbono affrontare con rispetto, fraternità e preghiera non rompendo comunque mai la comunione anzi rendendola più forte e più vera.