La vittoria di Pirro

Sarei molto felice se in merito all’evento di questi giorni si potesse dire: “La politica e lo Stato hanno finalmente vinto Berlusconi, la sua filosofia e il suo stile di governare”. Mentre è fin troppo evidente che almeno una certa corrente della magistratura, dopo vent’anni di tentativi, dopo aver fatto spendere al Paese una montagna di denaro e dopo essersi squalificata per una partigianeria patente, pare sia riuscita a metter fuori gioco questo attore che è rimasto sul palco per tanto tempo.

Io riconosco a Berlusconi indubbie capacità imprenditoriali, però ho qualche dubbio se la sua scalata al potere economico e politico sia stata tutto merito suo o se si sia avvalso dell’appoggio, fin troppo scoperto, di Craxi e del suo partito. Il comportamento di questo protagonista lo reputo assolutamente immorale; l’uomo è indegno di rappresentare il Paese e neppure penso che il suo modo di governare l’Italia, pur talvolta con maggioranza, sia riuscito a dare benessere, giustizia sociale ed ordine civile. Lo ritengo uno statista pieno di sé, spaccone e poco concludente.

Detto questo, con molta chiarezza devo pur confessare con infinita tristezza che l’atteggiamento di una certa parte della magistratura, apertamente schierata, abbia ottenuto una povera vittoria di Pirro e abbia trascinato in un terribile discredito la giustizia e chi l’amministra, facendo pagare un prezzo anche alla gran parte di magistrati seri che stanno facendo il loro lavoro con dignità, saggezza ed impegno. Io sono assolutamente con Renzi che ha affermato più volte che i politici si possono e si debbono combattere solamente col voto.

Riconosco l’estrema delicatezza del compito del magistrato e perciò la grande difficoltà di esercitare questa professione, però ritengo che pure i magistrati debbano rispondere dei loro errori, debbano essere cacciati dalla magistratura senza misericordia alcuna quando manifestano solamente simpatia verso uomini o movimenti di parte, e finalmente non si permetta loro di voler ritenersi padreterni, ma si facciano scendere al livello dei comuni mortali, perché non sono più, né meno, dei medici, degli insegnanti, dei preti, degli artigiani, dei contadini. Sono uomini come tutti e hanno solamente i diritti e i doveri che competono ad ogni cittadino.

So che su questo argomento mi tornerebbe conto fare un “fervorino” che non turba nessuno, ma ritengo che il compito profetico che compete ai credenti sia anche quello di sporcarsi le mani sulle cose che riguardano la vita e le sue vicende. Tutto ciò non mi ha impedito, anzi mi ha facilitato la preghiera per Berlusconi, per chi l’ha giudicato in questi vent’anni e per tutti coloro che, come Travaglio, pensano che la condanna a Berlusconi salvi la Patria!

04.08.2013

I modesti investimenti

Un Paese è ricco quando gente che dispone di risorse decide di investire in quel territorio. Questo vale a livello industriale e commerciale, ma pure a livello sociale e pastorale. Di solito gli investitori impegnano le loro ricchezze in ambienti che offrano delle prospettive vantaggiose, dove siano ben accolti e dove la società offra condizioni di favore.

In Italia, in questo momento, la situazione è preoccupante perché gli investitori fuggono a causa dei costi, della burocrazia, dell’insicurezza sociale (vedi il caso attuale di Marghera che rischia di perdere le commesse di una grande nave a causa della intransigenza della Fiom), anzi pare che essi se ne vadano dal nostro Paese.

Qualcosa del genere mi pare che capiti anche per la pastorale. A Mestre la vita religiosa ristagna perché coloro che potrebbero investire non sono ben accetti, trovano un ambiente chiuso e difficile e perciò dirottano in altri luoghi la loro “ricchezza”. A Mestre le aziende pastorali presenti sono le parrocchie, però sono piccole, poco efficienti, spesso superate nei metodi e con pochissimo personale.

Facciamo alcuni esempi: quali potrebbero essere gli investitori qualificati e specializzati nel settore giovanile?

A livello di congregazioni religiose certamente i salesiani, per scelta e per preparazione, sono i migliori. A Mestre però non c’è un loro oratorio in tutta la città. Attualmente sono presenti alla Gazzera con un’ottima scuola professionale, ma nulla più. Non so se mai la curia patriarcale abbia richiesto un inserimento massiccio di questi preti per i ragazzi e la gioventù, offrendo una parrocchia e favorendo il loro impegno pastorale.

Ci sono pure i Padri di don Orione al “Berna” con un buon istituto, però non di grosso respiro. A livello associativo chi, in questo momento storico, ha ancora molta presa sui ragazzi, è lo scoutismo, però la diocesi investe troppo poco e pochi preti in questo settore e non preme sufficientemente perché le parrocchie si aprano a questa realtà.

Nel settore della carità esiste la Caritas, ma a Mestre è pressoché ininfluente. La San Vincenzo ha avuto negli ultimi decenni uno sviluppo insperato, ma ora pare ripiegata su se stessa, è presente in non molte parrocchie e soprattutto mancante a livello giovanile. Ora c’è un tenero virgulto della “Misericordia” che ci fa sperare, però ad esempio la Comunità di Sant’Egidio non riesce affatto a decollare.

A livello di adulti è molto attivo il movimento neocatecumenale, però è chiuso in se stesso; mi pare che per formazione sia poco disponibile ad aprirsi agli altri ad una collaborazione anche fuori dalla propria “cittadella fortificata”. Mentre “I Focolari” e il movimento carismatico è pochissimo presente e mi pare non attecchisca in maniera seria.

Credo che al punto in cui ci troviamo “il governo” della nostra Chiesa locale dovrebbe impegnarsi di più per attivare questi investitori ricchi di esperienze specifiche, altrimenti arrischiano di morire di inedia.

03.08.2013

La coerenza evangelica paga ancora

Sono convinto che ogni persona abbia già nel suo DNA degli orientamenti di fondo, dei principi ideali che porta dentro alla sua identità e che poi sviluppa o mortifica durante la sua crescita umana.

Faccio questa premessa perché mi accorgo che, per un verso o per l’altro, ritorno assai di frequente sulle stesse tematiche. Ritengo però giusto farlo perché alla fin fine è questo il contributo sostanziale che una persona può offrire agli altri; infatti questo apporto in positivo o, perfino, in negativo, può aiutare il prossimo a maturare le sue scelte e a crescere a tutti i livelli.

Il fatto che mi spinge a ribadire un concetto che mi è caro e di cui sono convinto è stata la Giornata Mondiale della Gioventù. Domenica scorsa mi sono preso la libertà di seguire per due ore intere alla televisione l’evento storico per la nostra Chiesa, ossia la messa di Papa Francesco celebrata sulla nota spiaggia della metropoli brasiliana di Rio de Janeiro. E’ stato un evento che mi ha spiritualmente “saziato” e che ha rinvigorito la mia speranza per il domani della Chiesa e del Cristianesimo.

Ero convinto che la Giornata Mondiale della Gioventù celebrata a Torvergata con la partecipazione di due milioni di giovani, fosse il punto massimo, un record insuperabile sia per tensione spirituale che per consistenza numerica. Invece, fortunatamente, le cose non stanno così. Papa Francesco di certo ha raddoppiato la consistenza numerica, ma penso pure il respiro spirituale.

Io non sono un sociologo e, meno ancora, un esperto di fenomeni sociali e religiosi, comunque sono assolutamente convinto che il ritornare alla sorgente, “saltando” le sovrastrutture della tradizione ecclesiastica così complesse, macchinose e stereeotipate sia il motivo sostanziale di questo “miracolo” a cielo aperto. Gli elementi che più facilmente si colgono nello stile  evangelico di Papa Francesco, nel suo ritorno alle origini, potranno sembrare perfino futili e marginali, ma per me sono piccoli segni della sua scelta di fondo – ad esempio la borsa nera che s’è portato dietro a mano, l’aver viaggiato in aereo assieme a tutti gli altri, non essersi portato dietro un codazzo di curiali, aver usato un’utilitaria e non blindata per i trasferimenti, essere andato in una bidonville, aver fatto un discorso corto e comprensibile.

In una parola mi pare di dover concludere che, nonostante la crisi sociale e soprattutto religiosa, la coerenza evangelica paga ancora. Tante volte, in passato, mi sono chiesto come ha fatto Gesù ad incantare “cinquemila persone, senza contare donne e bambini” che l’han seguito senza mangiare. Quando vedo poi che il suo successore, Papa Francesco, ha intrattenuto quasi quattro milioni di giovani che per due giorni l’hanno seguito ed ascoltato, dormendo per terra a cielo aperto, vedo che l’imitatore di Cristo sa veramente ancora oggi attirare le folle. La Chiesa, se vuole giustamente incantare le folle e far loro accettare la “buona notizia”, non ha che da ritornare al Vangelo e allo stile di Gesù.

02.08.2013

Niente di nuovo sotto il sole – “parroci” a sovranità limitata

Ho letto recentemente su “Gente Veneta”, il settimanale della nostra diocesi, un articolo in cui si dice che si tenterà di risolvere il problema della carenza di clero, in particolare si parla della difficoltà delle parrocchie attuali di farsi carico della complessità delle problematiche pastorali odierne. In pratica si dice che moltissime parrocchie sono troppo fragili per affrontare da sole alcune problematiche, quali, ad esempio la preparazione al battesimo, al matrimonio, l’educazione degli adolescenti, la gestione dell’informazione e della proposta cristiana attraverso i mass media, ecc. ecc.

Il problema è assolutamente reale oggi, e domani sarà ancora più grave: le microparrocchie alle quali si è puntato mezzo secolo fa sono ormai improponibili. Ora pare che dovremo puntare a grosse parrocchie assistite da una comunità sacerdotale guidata da un sacerdote con carisma. Questa è, per me, la soluzione più valida, mentre pare che la soluzione su cui si va riflettendo sia una aggregazione solidale di più parrocchie in cui ognuna metta a servizio delle altre le sue risorse più qualificate ed efficienti.

Mi auguro di tutto cuore che si trovino soluzioni tecniche che permettano queste osmosi di risorse qualificate. Il problema è reale, ed altrettanto reale è l’urgenza; temo però, da quanto ho capito, che la soluzione sia piuttosto velleitaria.

Già cinquant’anni fa a San Lorenzo, con monsignor Vecchi avevamo capito l’urgenza di una nuova impostazione pastorale per affrontare seriamente le esigenze di una parrocchia vasta ed eterogenea qual’era quella del Duomo. S’era quindi progettato di suddividere la parrocchia in quattro comparti religiosi che facessero riferimento: 1 – al Duomo, 2 – ai Cappuccini, 3 – a San Girolamo, 4 – alla Salute. Si pensava a quattro sacerdoti che curassero ognuno la propria zona, mettendosi pure a disposizione per problemi o per esigenze particolari; parroci non totalmente autonomi, guidati da un sacerdote capofila.

Monsignore ha promosso questa soluzione, però non è riuscito assolutamente a convincere i sacerdoti ad accettare questo servizio con autonomia limitata e con disponibilità ad una solidarietà verso le altre zone pastorali che componevano la parrocchia. Il progetto dunque fallì mezzo secolo fa.

Ora sono mutati i tempi, però credo che se non ci sarà un “governo forte” con idee molto chiare, con un progetto realistico e con grande determinazione ad “imporlo”, ben difficilmente si otterranno migliori risultati, nell’illusione che tale progetto si realizzi solamente per scelte solidali spontanee.

Per me oggi vale la macroparrocchia suddivisa in zone pastorali facenti capo ogniuna ad un sacerdote per la pastorale ordinaria di presidio, però con a capo un parroco leader responsabile dell’intera comunità, parroco che utilizzi al meglio i sacerdoti componenti la comunità sacerdotale e sostenuto in maniera decisa dal “governo diocesano”.

Ci vorranno forse anni per costruire questa nuova cultura pastorale che deve valere sia per i sacerdoti che per i frati e i laici impegnati, però non vedo altra soluzione praticabile.

02.08.2013

Chiesa del cimitero di Mestre: orari delle S. Messe per i “Santi” e i “Morti”

DOMENICA  27 OTTOBRE
ore 10 e ore 15

LUNEDÌ 28 OTTOBRE
ore 9.30 e ore 15

MARTEDÌ 29 OTTOBRE
ore 9.30  e ore 15

MERCOLEDÌ 30 OTTOBRE
ore 9.30  e ore 15

GIOVEDÌ 31 OTTOBRE
ore 9.30  e ore 15

VENERDI  1 NOVEMBRE “OGNISSANTI”
ore 9   –   10   –   11
ore 15 con il PATRIARCA

SABATO 2 NOVEMBRE “MORTI”
ore   9  –   10  –   11  –   15

DOMENICA 3 NOVEMBRE
ore 10 e ore 15

No, questa società non l’accetto!

Questa mattina il commentatore di Radio Radicale ha detto che Letta non è riuscito a far approvare dal Parlamento, prima delle vacanze estive, alcuni provvedimenti che il Governo aveva preparato e perciò sarebbero slittati a settembre.

Non mi ricordo più quali siano tutti questi provvedimenti, ma uno m’è rimasto conficcato come una spina acuta e profonda come quella della corona che gli ebrei posero in testa a Gesù. Oggi il Parlamento va in ferie per tutto agosto. Con i tempi che tirano in casa Berlusconi e in casa del PD, chi sa se Letta riuscirà a sopravvivere per così “tanto” tempo!

I problemi in ballo sono infiniti, però ve ne sono alcuni veramente odiosi, soprattutto perché “gridano vendetta al cospetto di Dio” e perché non si capisce perché non si possano risolvere subito senza tante cerimonie e tante perplessità.

Il fatto che mi ha fatto arrabbiare, di cui il cronista ci ha informati, è che il Governo non è riuscito a tagliare gli stipendi e le pensioni da nababbi o da emiri del golfo di certi dirigenti di enti statali e parastatali i quali, pur gestendo enti in rosso e spesso in condizioni fallimentari, fruiscono di remunerazioni, e quindi di pensioni, d’oro.

Il cronista faceva il nome di uno di questi pensionati che attualmente percepisce tremila euro al giorno e che, dati i contrasti in Parlamento, continuerà a percepire di certo per tutto agosto e per non so quanto altro tempo ancora.

Ho fatto un po’ di conti, concludendo che 3000 euro per i 365 giorni che compongono un anno, significa che questo signore percepisce di pensione un milione e novantacinquemila euro all’anno, e magari sarà un menarrosto che non ha fatto altro che girar carte per le mani.

Al “don Vecchi” c’è una signora, che da ragazzina, all’età di 8 anni, fu messa a servizio dai genitori presso una famiglia di signori a Venezia, che “gode” oggi di una pensione di 500 euro al mese, quindi 17 euro al giorno. E come lei ci sono al “don Vecchi” altri quaranta anziani in queste condizioni.

Se il Signore non decide di buttar giù dal Cielo pece incandescente come a Sodoma e Gomorra, non c’è che da invocare il ritorno di san Michele Arcangelo con la sua spada di fuoco soprattutto sui parlamentari che permettono il proseguire di queste macroscopiche ingiustizie.

Vi sono problemi difficili e complessi quali la repressione delle frodi fiscali e, peggio ancora, quelli della disoccupazione in genere ed in particolare dei giovani, degli sprechi della sanità, della riforma della giustizia, della disparità tra nord e sud, ed è quindi comprensibile che ci voglia tempo e denaro, ma penso che non sia proprio impossibile che Letta dica alla sua segretaria: «Scrivi alla direzione dell’INPS che da oggi in poi l’ammontare della pensione non deve essere inferiore a mille euro e superiore a tremila». Punto e basta!

Io faccio così, mi trovo bene e così risolvo i miei piccoli problemi.

09.08.2013

Compagni di avventura

Questa mattina sono stato al “Nazaret” per far visita alla “signorina” Rita. L’ho trovata ancora a letto perché – mi disse l’infermiera di questa casa di riposo – la alzano solamente alle dieci e mezza, altrimenti si stanca troppo a stare seduta in poltrona.

La Rita mi è apparsa come un pulcino bagnato e smarrito appena uscito dal guscio. Gli anni, la malattia e la stanchezza hanno progressivamente logorato la forte fibra e il carattere più che deciso di colei che in parrocchia a Carpenedo controllava tutto, interveniva a proposito e a sproposito su tutto, ma alla quale era riconosciuta un’autorità assoluta, essendo la “governante” del parroco, una figura ed un ruolo che Alessandro Manzoni ha immortalato nei suoi “Promessi sposi”. Vedendola così inerme e smarrita ho provato un senso di tenerezza, di riconoscenza e pure di rimorso per aver preteso da lei il possibile e l’impossibile, come sempre mi è capitato di fare.

La visita a questa donna più che novantenne nella cameretta a due letti, pur nella casa di riposo più ambita della nostra città per l’ordine e la funzionalità che la contraddistingue, ha messo in moto nella mia memoria le sequenze di un film a me ben noto, che però non rivedevo da molti anni. Il “proiettore” ha cominciato subito a trasmettere immagini su immagini che si accavallavano rapidamente.

A 42 anni fui “promosso parroco” a Carpenedo perché altri preti avevano rifiutato a causa dei debiti e della contestazione anche in parrocchia. Non avevo allora un piatto, una forchetta, una sedia. Dissi a Rita, già presidente dell’Azione Cattolica e sarta di professione: «Vuole dividere la mia `avventura pastorale?’». Disse di si. Caricammo le sue povere masserizie su un furgone dei poveri e mettemmo su casa nella canonica di Carpenedo. Ora la canonica è un palazzotto del settecento austero ma di nobile aspetto, ma allora il tetto della cucina era coperto da un telone di nylon verde, perché le tegole non riparavano dalla pioggia e i balconi erano così sgangherati che don Roberto e don Gino, avendo pietà di me, impiegarono un quintale di stucco per poterli ridipingere.

Rita, pur avendo sognato l’intimità di una casa ordinata, pian piano accettò, seppure con fatica, l’andirivieni a tutte le ore del giorno e della notte, tanto che una volta sbottò dicendo: «Questa non è una casa, ma un municipio!»

Cominciammo col patronato, poi con l’asilo e quindi con il “Ritrovo degli anziani”, con Villa Flangini, con la Malga dei Faggi, solamente per parlare delle strutture. E lei era sempre presente con la qualifica di manovale, di sovrintendente, di tesoriera, di segretaria, di telefonista e mille altre cose ancora. Ci un tempo in cui perfino le affidai il compito di inserire i programmi della regia di “Radiocarpini”! E non che io fossi tollerante, ho sempre richiesto tutto e di più!

Vedendola ora così smarrita e fragilissima nel suo lettuccio bianco, ho sentito tanta tenerezza e tanta riconoscenza, perché quando le cose van bene è sempre merito del capo e sempre ci si dimentica del suo esercito. Son certo che lei si è sempre aspettata la ricompensa dal Padre nostro che è nei Cieli, altrimenti non avrebbe mai potuto fare la vita che “l’ho costretta a fare”.

08.08.2013

Don Tonini

Da un paio d’anni il cardinal Tonini, arcivescovo di Ravenna, era pressoché scomparso dalla scena. Già prima, la morte del prestigioso giornalista Enzo Biagi, suo ammiratore e amico carissimo, aveva messo un po’ in penombra la figura del vecchio cardinal Tonini, “grillo parlante” della Chiesa e della società italiana. Poi l’età – era infatti quasi centenario – aveva definitivamente spento la voce accalorata e puntuale di questo santo prete.

Alla notizia della sua morte avvenuta qualche settimana fa, nonostante avessi già parlato di lui ne “L’Incontro”, avevo scelto di dedicargli un editoriale non appena fosse apparso in qualche periodico del nostro Paese una testimonianza adeguata alla nobile figura di questo santo apostolo. Non avendo ancora scoperto un articolo per me adeguato a questo uomo di Dio, sento il bisogno di dedicargli, almeno per ora, una pagina del mio diario, perché ritengo che monsignor Tonini sia stato in Italia una delle belle e grandi figure di vescovo del nostro secolo.

Ho ammirato il vescovo di Ravenna perché, una volta in pensione, ha continuato come prima il suo compito di annunciatore e soprattutto di testimone del Vangelo. Già nella sede vescovile, prima di Ravenna, aveva scelto un’umile dimora per lasciare il suo palazzo vescovile ad un’opera di apostolato, e a Ravenna poi, ha scelto, come dimora della sua vecchiaia, l’Opera Santa Teresa, struttura che accoglie disabili di tutti i generi e che i ravennati, pur repubblicani ed anticlericali, amano e sostengono con immensa generosità.

Monsignor Tonini, minuto di statura, sempre in clergyman come l’ultimo cappellano, con discorsi assai semplici ma profondamente convinti, ha parlato fino all’ultimo respiro di Gesù e del suo Vangelo che, soli, possono salvare anche gli uomini del nostro tempo dall’insignificanza di una vita senza orizzonti e senza senso.

La testimonianza del cardinal Tonini mi è stata sempre punto di riferimento, per quanto riguarda “l’alto clero”, a motivo del suo rigore morale, del suo appassionato amore per le anime e per la scelta di vivere poveramente e di condividere la condizione degli ultimi sia negli anni della sua efficienza fisica e intellettuale che in quelli del tramonto.

Il cardinal Tonini ha testimoniato con la sua vita che non sono la porpora, la sontuosità dei riti, né l’elogio da colti che conquistano le anime, ma l’amore spoglio di ogni orpello e la coerenza rigorosa al messaggio di Gesù.

08.08.2013

Tra nostalgia e delusione

In quest’ultimo mese la stampa nazionale ha sprecato qualche titolo e qualche colonna per criticare “Radiomaria” per una sua iniziativa: la promozione di una campagna tesa a convincere gli ascoltatori a far testamento a suo favore per autofinanziarsi. “Radiomaria” è nata al tempo delle “radio private”, poco tempo prima che io, a Carpenedo, dessi vita a “Radiocarpini”. Però, mentre io, povero direttore autodidatta, con pochissimi mezzi, non essendo riuscito a coinvolgere le parrocchie e la curia in questa impresa pastorale, finii per donarla, dopo un ventennio alla diocesi, pensando che apprezzasse questo strumento moderno e avesse autorità per fare quello che io non ero riuscito a fare, “Radiomaria”, avendo scelto un pubblico e un orientamento diverso, ha fatto fortuna ed oggi è diffusa in tutto il mondo, ha un bilancio annuale di milioni di euro e credo abbia un’audience notevole, composto però da ascoltatori più che devoti.

Con questo non è che io abbia consegnato alla diocesi un rudere di radio: a quel tempo avevamo dei trasmettitori che coprivano tutto il Veneto arrivando fino a Ravenna, delle postazioni in ogni zona pastorale della diocesi, una strumentazione per quei tempi all’avanguardia, un bilancio in pareggio e soprattutto duecento volontari senza una preparazione specifica, ma pieni di entusiasmo e di buona volontà.

Nonostante io abbia messo nella lista dei miei fallimenti questa vicenda, sono ancora convinto della validità di questo strumento a livello pastorale, sono pure convinto della giustezza dell’indirizzo che avevo scelto, cioè di non pescare nello stagno del devozionismo bigotto, di non farne una radio di intrattenimento da canzonette e banalità, ma di aver dato a “Radiocarpini” un indirizzo religioso-pastorale a tutti i livelli, dalla cultura all’informazione, dal canto alle problematiche pastorali.

Ho tanto sperato che il passaggio da una parrocchia di periferia ad una diocesi di tradizioni illustri avrebbe potenziato e migliorato questo strumento innovativo, mentre tutto s’è spento lentamente nel nulla, in maniera inesorabile.

Oggi non sono più assolutamente aggiornato su questo settore specifico, però credo che con il “senno di poi” avrei fatto bene a non chiudere, anche per il semplice fatto che non ho visto affacciarsi all’orizzonte della pastorale qualcosa di nuovo. Mi pare che la Chiesa veneziana, al di fuori del suo giornale, che ritengo fra le poche cose valide, si sia rassegnata a passare il messaggio al quindici, venti per cento di battezzati che vanno ancora a messa, mediante la solita vecchia predica del prete.

07.08.2013

“Dio e la canna di bambù”

E’ del Magnificat l’affermazione che Dio si serve di umili strumenti per fare cose grandi. La teologia poi, da san Paolo ai nostri giorni, non ha fatto altro che ribadire questo concetto, arrivando alla conclusione che “tutto è Grazia”, come afferma Mauriac.

L’uomo si illude di essere il protagonista dei fatti della vita, mentre è solamente un umile strumento nelle mani di Dio. E’ Dio che opera, l’uomo diventa già importante quando si mette fiduciosamente a Sua disposizione. Ricordo una bella immagine di Tagore, il grande poeta e mistico indiano, il quale immagina Dio che, soffiando su una umilissima canna di bambù, riempie la valle di dolcissime melodie.

Domenica scorsa ho avuto, netta e limpida, questa sensazione, constatando come il “mio coro” sia riuscito pian piano a far cantare l’intera assemblea, tanto che ogni canto è capace di esprimere una lode corale ed intensa di spiritualità, cosa che non mi era mai capitato precedentemente nei miei sessant’anni di sacerdozio, se non per brevi periodi alla messa dei funerali a Carpenedo.

Io sono assolutamente stonato, motivo per cui non ho mai potuto essere di aiuto per quanto riguarda il canto nelle liturgie della parrocchia, però il canto l’ho sempre voluto e favorito, tanto che a Carpenedo abbiamo avuto per qualche periodo una corale di ben sessanta elementi, guidata dal maestro Mario Carraro, quanto mai esperto nella scelta appropriata dei canto e nella loro esecuzione. Però mai, per quanto facesse, è riuscito a coinvolgere interamente l’assemblea così da farla partecipare ai ritornelli in maniera intensa e corale.

Ora mi capita invece che la “Corale santa Cecilia” del “don Vecchi”, composta da poco più di una ventina di ultraottantenni, diretta da una maestra elementare che nel lontano passato ha fatto cantare i bambini in classe; con, alla pianola, una pari età e, al violino solista, un novantacinquenne. Non solo nella mia chiesa prefabbricata si canta con convinzione e intensità spirituale, ma si coinvolge l’intera assemblea come mai m’era capitato di sentire.

Il “mio coro” veramente aiuta a pregare col canto i fedeli che ogni domenica gremiscono la “cattedrale fra i cipressi”, ma anche conforta ed allieta il cuore di questo vecchio prete nell’ultima stagione della sua vita.

07.08.2013

Illuso o incapace

Una decina di anni fa si diceva che il volontariato era il fiore all’occhiello della Chiesa e della società del Triveneto. Oggi pare che questo fiore sia un po’ appassito e comunque non sia più così fresco e profumato qual’era un tempo.

Sono infinite le specie di fiori: ci sono le rose ma pure ci sono i cardi e i fiori di zucca. Ho qualche perplessità nel definire la specie di volontariato di cui mi avvalgo: talvolta ho creduto che i numerosi volontari che girano attorno al “don Vecchi” e costituiscono la forza del “Polo Solidale”, fossero quanto di meglio si possa trovare in un prato fiorito a primavera, ma qualche volta – specie quando ho la sensazione che alcuni volontari lo siano per interesse, altri per passare il tempo, altri ancora per una forma di autoaffermazione o quando si lasciano andare a beghe infinite – mi vien da pensare non solo ai fiori di cardo, ma pure a quelli di ortica, a quelli dei rovi o perfino a quelli velenosi.

Per indole e per costume sono però portato ad imputare la cattiva riuscita al giardiniere, piuttosto che alle piante, memore del detto della gente di mare che dice che “il pesce puzza dalla testa”. Mi capita assai spesso, in queste occasioni, di chiedermi: “Sono un illuso o un sognatore o, peggio ancora, un fallito?”

Proprio in questi giorni mi è capitata fra le mani un’affermazione di san Francesco di Sales: “Il bene è bene se è fatto bene”, affermazione a cui non posso non essere consenziente. Perciò, una volta ancora, mi pongo la domanda se vale la pena spendermi se non sono riuscito che a racimolare un esercito di Brancaleone, numeroso si, ma disordinato, irrequieto e in mal arnese.

Da sempre sono convinto non solo che è giusto, ma doveroso che i cristiani siano seriamente impegnati sul campo della solidarietà, virtù che, sola, esprime e rende credibile la fede, ma quando sono costretto a registrare divisioni, comportamenti arroganti, scontri ed insinuazioni maliziose, allora si affaccia alla mia coscienza, sempre forte ed amaro, il dubbio di essere un povero illuso nel credere ad un efficientismo poco fraterno e poco motivato e, peggio ancora, mi vien da pensare di non essere riuscito a passare uno stile nobile, dignitoso e motivato da valori alti.

In passato ho avuto modo di incontrare volontari della Comunità di sant’Egidio, riscontrando in loro una forte passione fraterna ed una grande spiritualità. Per ora credo che non mi resti altro che testimoniare i miei convincimenti, nonostante tutto e pregare perché il buon Dio perfezioni e completi la mia “incompiuta”.

07.08.2013

“Tardi ti ho conosciuto!”

Ognuno, credo, ha le sue simpatie e le sue sofferenze. Io credo, anche in questo, di sentirmi uguale agli altri.

Per quanto riguarda i “profeti e testimoni” del nostro tempo, molte volte ho detto che i miei punti di riferimento sono don Mazzolari, don Milani, don Antonino Bello, il defunto vescovo di Molfetta, La Pira, don Gnocchi, Madre Teresa di Calcutta ed altri ancora che considero “profeti minori”. Non credo però di aver mai confidato agli amici quali sono i “profeti” dei tempi lontani, quelli della prima generazione cristiana e quelli della Chiesa ormai affermata che mi sono più cari.

Amo particolarmente l’apostolo san Giacomo per la sua concretezza e perché, per primo, ha capito che oggi il volto di Cristo lo si trova nel volto del povero e che una fede senza un impegno solidale verso i più fragili è effimera, inconsistente e pressoché nulla. Da san Giacomo ho imparato che Dio lo si ama solamente aiutando i poveri.

Amo appassionatamente san Paolo, il convertito, non tanto per il suo pensiero profondo, quanto per la sua generosità e il suo impegno senza misura. Ogni volta che leggo quanto Paolo ha sofferto per Cristo, arrossisco perché l’apostolo delle genti mi ha fatto capire che chi fa la scelta cristiana non può assolutamente pensare di ridurre il suo impegno ad una adesione formale o a qualche rito religioso, ma deve spendersi tutto e senza riserve. Di san Paolo ammiro ancora la libertà interiore e la franchezza. Quanto mi ha fatto bene quella sua affermazione nei riguardi di Pietro, suo capo: “Gli resistetti in faccia perché aveva torto!”.

Mi è caro Francesco d’Assisi per il suo amore candido per “Madonna povertà” e per il suo scorgere e dialogare con Dio attraverso il Creato. Il Cantico delle Creature è per me la preghiera più sublime di questo innamorato di Dio e dell’uomo.

Ammiro anche in maniera forte san Benedetto per la sua saggezza e l’equilibrio spirituale con cui gestisce quel dono prezioso che è il tempo. Però il mio primo amore è per sant’Agostino, per la sua umanità calda e appassionata, per aver amato Dio nonostante le sue passioni e i suoi errori. Come sento vicino il santo delle “Confessioni”, quanto mi turba oggi in maniera positiva quel suo appassionato: “Tardi, Signore, ti ho conosciuto, tardi ti ho amato!”. Sono tanto riconoscente al vescovo di Ippona per avermi donato questa stupenda preghiera per la mia vecchiaia, che mi fa sperare di aver conosciuto, anche se tardi, ciò che solamente mi può salvare da una vita vuota e insignificante.

06.08.2013

Presenze sacerdotali significative

Mi ha sempre colpito quella frase con cui Gesù rimproverava la sua gente perché trascurava ed eliminava “i profeti” per costruire loro, dopo la morte, inutili monumenti.

E’ saggio, anzi necessario, scoprire ed ascoltare le voci profetiche, o perlomeno quelle personalità significative che escono dal gregge per dire, con la loro voce, o meglio con la loro testimonianza, qualcosa di valido che possa essere utile a tutti.

Mi domando: «Nella mia città e, in maniera specifica nel nostro presbiterio, ci sono oggi voci e personalità che abbiano una qualche autorevolezza, che esaltino qualche aspetto del sacerdozio, che offrano qualche punto di riferimento significativo?». M’è dovere ribadire che, nella Chiesa, gerarchia e profezia sono due parabelle che ben difficilmente possono toccarsi perché ognuna ha una sua funzione tutta propria. Io oggi vorrei cercare la profezia, o perlomeno una qualche ricchezza personale, non intendendo affatto metterla in competizione con i rappresentanti della gerarchia. Il criterio poi di giudizio è assolutamente personale, motivo per cui sarei ben felice se altri mi indicassero altre presenze, o meglio testimonianze, valide e stimolanti.

Qualche tempo fa ho dedicato un editoriale a don Franco De Pieri, il prete che a Mestre, in perfetta solitudine, ha abbracciato la causa dei drogati e degli emarginati: per me è una voce forte e fuori coro.

Più di qualche volta la stampa locale ha parlato di don Biancotto, il cappellano delle carceri che ha portato o favorito i giovani a parlar di Dio per le calli di Venezia. Non è da tutti avere tanto coraggio!

Non tanto tempo fa la stampa, pure per un paio di giorni, ha parlato di Torta, il parroco di Dese che s’è schierato apertamente a favore dei poveri. Io conosco don Torta come un’anima libera, trasparente e coraggiosa. Non ho poi mai nascosto la mia ammirazione per monsignor Bonini, il parroco del Duomo che, pur giunto alla parrocchia avanti negli anni, ne ha fatto una realtà complessa e capace di dialogare con la cultura, con la politica e con ogni realtà del nostro tempo.

Pur non battendo la stessa strada, provo profonda ammirazione per don Narciso, il parroco di Santa Maria Goretti, che ha ristrutturato la pastorale parrocchiale in maniera assolutamente innovativa con le sue cellule di base, ma soprattutto con i suoi 400 “adoratori” che notte e giorno danno testimonianza a Cristo dell’Eucarestia.

Non vi nascondo poi la mia stima per mio fratello, don Roberto, parroco di Chirignago, che con una metodica tradizionale ha cresciuto una splendida comunità cristiana e per lei si sta spendendo senza risparmio e per don Gino Cicutto, parroco di Mira puntuale e quanto mai zelante. Come sono profondamente ammirato per don Cristiano Bobbo, parroco di viale San Marco, che con garbo, pietà e silenzio conduce con fedeltà e amore il suo piccolo gregge cresciuto ai margini della città. Così pure ho ammirato il padre, parroco dei Frari, che nel terreno quanto mai arido di Venezia, ha tentato esperienze assolutamente innovative tra i suoi giovani e nel contempo è aperto al bisogno dei poveri.

Questi preti ed altri che non conosco, li addito all’attenzione dei miei concittadini – perché, secondo me, sono segni più o meno grandi di profezia – perché riconosciamo fin d’ora il loro messaggio senza aspettare di riconoscerglielo quando sarà troppo tardi.

27.07.2013

Il nuovo governo della Chiesa veneziana

Questa mattina ho letto sul Gazzettino che il nostro Patriarca ha completato le nomine ai vertici della Curia, quindi il governo della Chiesa veneziana è ormai al completo e nella pienezza delle sue funzioni per i prossimi cinque anni.

Ho l’impressione che questa compagine di promozione del messaggio cristiano, di coordinamento delle forze in campo e dell’attuazione del programma pastorale, sia più snella della precedente e abbia ancora la caratteristica che il governo sia maggiormente accentrato.

Il nostro Vescovo, fin dal suo ingresso, aveva affermato che si sarebbe riservato un anno di tempo per conoscere prima gli uomini e le situazioni. L’unica volta che il Patriarca è venuto al “don Vecchi” di Carpenedo, per un convegno di sacerdoti della zona, avendo io avuto occasione di sedergli accanto a pranzo in qualità di “padrone di casa”, gli chiesi – soprattutto per rompere un silenzio imbarazzante – che cosa ne pensasse dei preti veneziani. Mi rispose, asciutto, che me l’avrebbe detto fra un anno. Con la nomina mi ha puntualmente risposto almeno per quanto riguarda i vertici, ossia i sacerdoti più rappresentativi su cui posa la sua stima e la sua fiducia: mons. Pagan, che è il suo vice, monsignor Barlese, responsabile dell’azione pastorale, monsignor Pistollato che si occuperà dell’aspetto economico ed ora monsignor Perini che continuerà ad occuparsi della catechesi. Questi sono i ministri del governo diocesano. Il Patriarca ha ancora nominato alcuni viceministri, ma questi fanno sempre capo al “governo”.

Ripeto di aver notato uno smagrimento di questa compagine governativa, d’altronde Venezia ha così pochi preti e per di più anziani, per cui è più che comprensibile la volontà di non distogliere quanto possibile i sacerdoti in diretta “cura d’anime” per impegnarle in curia.

L’aspetto più vistoso che mi pare di rilevare in queste scelte è che sembrerebbe scomparso ogni seppur piccolo segno di decentramento, specie per Mestre, mentre nel passato si era pensata perfino una sede patriarcale in terraferma e poi c’era la figura, seppur quasi totalmente formale, di un vicario patriarcale per Mestre, tanto che talvolta qualcuno s’azzardava a parlare di “Chiesa mestrina”. Ora sembra che questo indirizzo sia stato definitivamente abbandonato non solamente a livello civile, ma anche ecclesiastico. Mi pare quindi che Mestre perda definitivamente anche la seppur minima sua identità formale per rimanere la periferia assimilata in tutto alle problematiche di Venezia.

Ogni scelta ha i suoi pro e i suoi contro. Mi auguro e prego perché questo nuovo indirizzo risulti comunque positivo per la nostra comunità ecclesiale.

26.07.2013

“Dignità”

La presidente della Camera ha fatto oggi visita ai carcerati di Regina Coeli. I detenuti l’hanno accolta al grido: «dignità, dignità!». La signora Boldrini ha affermato che condivideva le richieste dei detenuti di rendere più umano e più civile il carcere italiano. Ora spero che lo faccia.

I miei amici sanno che io sono profondamente convinto che anche il peggior delinquente può redimersi perché l’uomo non rimane quasi mai fermo nell’atto in cui ha mancato contro la legge. Guai se la sua posizione rimanesse statica sulla sua colpa come quella che appare dallo scatto di una macchina fotografica; l’uomo è in costante evoluzione.

Tutti sanno che la condizione carceraria in Italia è veramente tragica e insopportabile, tanto che lo Stato neppure tenta di rieducare i detenuti, ma col suo atteggiamento disumano li rende più indifferenti, rancorosi e arrabbiati con la società. La Lega e Italia dei Valori si sono sempre distinte per essere forcaiole ma ora, a motivo della disfatta elettorale, sono, sia l’una che l’altra, in forte declino e quindi quasi fuori gioco.

Per fortuna i due ultimi ministri della Giustizia, la Severino e, ora, la Cancellieri, sono per un immediato sfollamento delle carceri attraverso dei provvedimenti che favoriscono pene alternative più umane e anche meno onerose per la collettività, anzi vantaggiose, in modo che i detenuti si paghino il periodo di pena e pure concorrano al bene del Paese con il loro lavoro. Non si capisce perciò perché un provvedimento che non peserebbe sulle casse disastrate dello Stato, non sia preso subito senza tante lungaggini e perplessità.

Il Governo dispone di voti più che sufficienti per poter emanare una legge in proposito. Mi sorprende che la presidente dell’organo deliberante del nostro Stato, che s’è dichiarata consenziente alle richieste dei detenuti, non si attivi e non metta all’ordine del giorno un provvedimento che risolva almeno le cose possibili.

Qualche tempo fa ho pubblicato un grido di angoscia di un certo Musumeci, ergastolano condannato al carcere a vita, che ha affermato: «Se non volete far altro, uccideteci subito piuttosto che prolungare la nostra tortura fino all’ultimo respiro».

I problemi del nostro Paese sono pressoché infiniti, però non capisco perché non si risolvano subito quelli che non solo non costano nulla ma che forse potrebbero rinsanguare le casse dello Stato.

24.07.2013