L’esercito della salvezza

Più volte nel passato ho confidato, mediante i periodici che mi offrivano un po’ di spazio, che ho sempre avvertito il bisogno di dialogare con i miei cittadini perché, pur vivendo in una comunità abbastanza numerosa, le persone che frequentano la chiesa erano e purtroppo sono ancora molte meno di quelle che popolano la nostra città. Il 15 marzo ho compiuto 94 anni e, nonostante rimanga nel mio animo questo sentimento struggente, le mie condizioni psicofisiche logorate da questa valanga di anni purtroppo mi rendono quasi impossibile o per lo meno molto difficile questo dialogo. In occasione della Pasqua però ho però sentito il bisogno imperioso di fare ai miei concittadini, “nipoti” e “pronipoti”, qualche confidenza. Confidenze che sento il bisogno impellente di manifestare anche se la grafia è incerta e il discorso risulta assai povero e frammentario.

Prima confidenza: io sono veramente felice di vivere assieme a quasi 600 anziani, più o meno vecchi di me, negli alloggi dei centri don Vecchi che sono precisamente 510. Io non ho alcun compito dirigenziale in queste strutture ma mi sento ancora quasi la “coscienza” di queste realtà.
Perciò ad Andrea Groppo, nuovo responsabile dei sette centri, chiedo “raddoppia il numero degli alloggi”, secondo; “punta a far si che ognuna delle strutture da condominio diventi sempre più comunità”.
A Edoardo Rivola, responsabile dell’associazione “Il Prossimo”, che gestisce l’Ipermercato Papa Francesco che ha il compito di aiutare concittadini in difficoltà economiche (che oggi sono purtroppo una moltitudine, ne incontriamo migliaia), punta ad aiutare sempre più persone in difficoltà e in maniera sempre più consistente”.
Spero e prego perché questi moniti diventino obiettivi concreti e urgenti per queste due belle figure di concittadini che si sono messi a disposizione.

A voi lettori, e pure a tutti i mestrini, vorrei fare un’altra confidenza.
In questi mesi mi hanno informato che un anziano della Cita di Marghera, che qualche anno fa mi ha detto che avrebbe lasciato il suo appartamento ai centri don Vecchi, è mancato e ha fatto come aveva promesso.
Seconda informazione, di settimana scorsa: una signora che veniva come volontaria alla mensa dei poveri di Ca’ Letizia ai miei tempi, ha lasciato pure il suo appartamento “per il don Vecchi di don Armando”.
Un’altra mia parrocchiana, qualche mese fa, mi ha devoluto cinquemila euro per il pranzo dei poveri.
La ditta Bauli per la Pasqua ha donato 6 bancali di colombe e Il Catering Serenissima quattro quintali di cioccolata per la colazione dei bambini.
Fortunatamente potrei continuare a raccontare questi “miracoli della carità!”

Da questa esperienza mi viene voglia di dire a tutti agli anziani che non hanno congiunti diretti, e a tutti coloro che possono, che pensare ai poveri rende felici. Per di più acquistano titoli per il Paradiso.
Quindi vorrei che i mestrini visitassero i sette Centri don Vecchi, il Centro di Solidarietà cristiana Papa Francesco e vedessero l’accoglienza che abbiamo messo in piedi per i profughi ucraini e per le mamme africane.
Vi verrebbe voglia di contribuire alle “imprese solidali”, vi stupireste degli odierni miracoli della carità scegliendo di unirvi a questo “esercito della salvezza”!

Cose fatte, cose da fare

Penso che vi siano dei concittadini che abbiano interesse a conoscere in maniera più approfondita come si articola il nostro ipermercato della solidarietà. Questa migliore conoscenza può permettere a chi è interessato di offrire la propria collaborazione nel settore più consono alle proprie attitudini ed esperienze professionali. E anche un po’ a poterne parlare con miglior consapevolezza a chi può avere interesse ad approfondire questa esperienza assolutamente innovativa e forse unica nel campo della solidarietà.

La struttura dell’ipermercato, che dispone di 3500 metri quadrati di superficie, è sita in terreno di proprietà della Fondazione Carpinetum ed è stata concessa in comodato gratuito all’associazione del terzo settore “Il Prossimo”. Questa associazione di volontariato è ufficialmente riconosciuta dalla Regione come ente del terzo settore e ad essa aderiscono circa 130 volontari. La struttura è stata inaugurata il 5 giugno 2021 ed ha cominciato a funzionare fin dal giorno dopo.

L’associazione “Il Prossimo” è retta da un comitato direttivo di cinque membri composti da: Edoardo Rivola, presidente, don Gianni Antoniazzi, Andrea Groppo, suor Teresa Del Buffa come consiglieri, don Armando Trevisiol, membro onorario.

La struttura è composta da 5 reparti:

  1. Alimentari, con Gianni Bergamin, Alfio Paladini e Lucia Simionato;
  2. Frutta e verdura, con Eugenio Allemanno e Luca Guglielmi;
  3. Mobili con Federico Troi, Luciana Ribon e Daniele Vanin;
  4. Arredo per la casa con Bianca Semenzato, Miranda Zardo;
  5. Banco alimentare con Niccolò Mognato e Vittorino Marchiori;
  6. Vestiti, con Eddi Bobbo, Barbara Navarra e Anca Pricop.

Quasi tutti questi responsabili vengono da esperienze professionali pregresse. Il presidente Edoardo Rivola, direttore di agenzie del Banco San Marco, a motivo della mole di lavoro, a fine del 2021 ha scelto di aderire ad un fondo di prepensionamento (una recente legge lo permette), pur rimettendoci nella pensione, per dedicarsi totalmente alla guida del nostro Centro solidale.

Il Centro, che è ancora in fase di rodaggio, è aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 15 alle 18. Invece il settore “Banco alimentare”, che distribuisce generi alimentari a titolo assolutamente gratuito a circa 2600 utenti, è aperto assieme al settore frutta e verdura dalle 9 alle ore 12 di martedì e giovedì.
Mentre questo settore distribuisce i generi alimentari a titolo gratuito agli aventi diritto, perché rifornito da un Ente Statale, in tutti gli altri settori si punta a domandare solamente un modesto contributo per i notevoli costi di gestione.

Il rifornimento del settore alimentare è sostenuto dal dono dei generi in scadenza di molti ipermercati e mediante il Banco alimentare di Verona permettendo così alle aziende, che donano, di recuperare l’Iva.

I concittadini più poveri vengono aiutati in maniera totalmente gratuita, mediante dei “buoni acquisto”, che l’associazione il Prossimo mette a disposizione delle parrocchie di Mestre perché li distribuiscano ai parrocchiani in maggiori difficoltà economiche.

L’ipermercato è dotato di sei furgoni ed uno frigo, di celle frigorifere di congelazione e di tutte le strumentazioni necessarie per movimentare notevole quantità di materiale.

Attualmente il numero di utenti settimanali è di circa 3500.

I progetti per il futuro prevedono:

  1. Un aumento di superficie dell’Ipermercato, l’allargamento del bacino di affluenze costituito da ipermercati, aziende produttrici di generi di prima necessità;
  2. Ottenere una maggior collaborazione da parte del Comune, della Caritas, della Regione e delle parrocchie e di tutti gli enti che finora pare non si siano resi conto del notevole valore sociale di questa struttura di solidarietà, assolutamente innovativa ed attenta e rispettosa delle persone;
  3. La creazione di un centro di ascolto per una gestione più diretta alle persone maggiormente bisognose;
  4. Lo studio di soluzioni che scoraggino chi è tentato di approfittare, senza merito, di questa struttura pensata soprattutto per chi è in maggior difficoltà;
  5. La creazione di un centro studi per analizzare e trovare soluzioni sempre più adeguate alle nuove povertà e ad una collaborazione più seria con tutti gli enti benefici della nostra città.

I benefattori dell’Ipermercato

Un tempo si usava dedicare un monumento a chi contribuiva in maniera significativa al bene della comunità. Ora si è molto più spicci, al massimo si usa mandare una lettera di ringraziamento! Comunque, oggi come ieri, penso che sia doveroso ringraziare chi condivide le nostre scelte ideali, chi dà testimonianza che in questa nostra società non ci sono solamente egoisti, ma pure persone generose, ed aziende particolarmente disponibili ad aiutare. Infine credo sia giusto prestare “voce” a chi riceve un dono e che non sempre ha la possibilità di ringraziare personalmente chi lo ha aiutato, e quindi si trovi il modo di trasmettere questo ringraziamento anche mediante un articolo di giornale o il post in un blog.

Partendo da questi presupposti, ho sentito il dovere di portare a conoscenza dei concittadini il nome degli ipermercati che ogni giorno destinano i generi in scadenza alle persone che si trovano in grave disagio economico. è vero che certi ipermercati vendono a prezzi scontati questi generi alimentari in scadenza recuperando così, almeno in parte, il relativo costo economico degli alimenti che non riescono a vendere; però vi sono pure, fortunatamente, molti altri ipermercati con maggior sensibilità sociale che rinunciano a questo piccolo provento per aiutare i poveri.

C’è poi il fatto che solamente la nostra organizzazione, con il supporto delle parrocchie, della Caritas, della San Vincenzo, riesce a captare i più poveri, ossia quelli che hanno più bisogno; mentre gli ipermercati che vendono a prezzi scontati i generi in scadenza riescono ad aiutare solamente gli acquirenti più intelligenti e furbi ma che raramente sono fra i più bisognosi.

Ho fatto questa lunga premessa perché ci si renda conto del fatto che sentiamo il dovere di segnalare alla cittadinanza le organizzazioni commerciali più sensibili al disagio economico, in maniera tale che i cittadini abbiano modo di ringraziarle, ammirarle ed anche di preferirle scegliendole per i loro acquisti.

In questo intervento vorrei per prima cosa scegliere la catena dei supermercati Cadoro, fondata dal compianto concittadino Cesare Bovolato, ed ora amministrata dai figli e dal direttore avvocato Moro. Azienda che è stata l’apripista di questa splendida solidarietà, alla quale si sono accodati col tempo molti altri supermercati, che segnaleremo uno ad uno in questo blog e su “L’Incontro” perché ci pare doveroso che la cittadinanza venga a conoscenza di questo aspetto veramente nobile della nostra società e che ognuno, a suo modo, si unisca a questa meritevole impresa di solidarietà.

Eccovi le sette strutture Cadoro esistenti a Mestre e nell’hinterland che ogni giorno ci forniscono con grande generosità generi alimentari di ogni specie, più o meno vicini alla scadenza fissata dalla legge, ma che in pratica sono quasi tutti commestibili anche oltre tale data:

  1. Cadoro di via Ca’ Rossa, 10 – Mestre;
  2. Cadoro di via Miranese, 256 – Mestre;
  3. Cadoro di viale San Marco, 152 Mestre;
  4. Cadoro di via Torino, 102 – Mestre;
  5. Cadoro di via Tito Ettore – Zelarino;
  6. Cadoro di via Macchiavelli – Mogliano Veneto;
  7. Cadoro di via Zermanese, 8 – Mogliano Veneto.

Qualcuno può anche pensare che vi sia uno o pochi altri artefici che hanno realizzato l’autentico e meraviglioso “miracolo” dell’”Ipermercato dei poveri”, mentre esso in realtà è opera di un gran numero di aziende, grandi o piccole, di singoli cittadini che stanno dando vita a questa nobilissima impresa.

Il grazie dei poveri giunga ai proprietari, ai responsabili e agli operatori della catena dei supermercati Cadoro; il grazie che è la ricompensa più gratificante. Però ad essa aggiungo la bella notizia, che il nome di coloro che fanno del bene è scritto nei Cieli, e che essi “riceveranno il centuplo e la vita eterna!”.

Una buona partenza

Sabato 5 giugno s’è finalmente inaugurato l’ipermercato della carità alla presenza del sindaco Brugnaro e di una folla di un migliaio di persone che hanno partecipato a questo evento di grandissima valenza sociale e soprattutto religiosa.

L’ipermercato rappresenta in Italia una soluzione assolutamente innovativa a livello solidale. Qui ogni cittadino che si trova in disagio economico può scegliersi quello di cui ha necessità a differenza di come avviene in tanti empori esistenti, nei quali i beneficiari non possono ottenere se non dei pacchi preconfezionati che talvolta non contengono tutto quello di cui i cittadini in difficoltà hanno bisogno.

All’ipermercato del “Centro di Solidarietà cristiana Papa Francesco”, sono presenti questi cinque “negozi”: generi alimentari, frutta e verdura, mobili, arredamento per la casa, indumenti. Tutto il materiale presente è offerto gratuitamente perché ai più poveri ogni due mesi vengono dati dalle parrocchie dei buoni acquisto di euro 5, mentre agli altri concittadini che si trovano pure in difficoltà tutto viene offerto gratuitamente chiedendo solamente a questi ultimi una modestissima offerta per sopperire alle spese di gestione di questa enorme struttura benefica.

È allo studio un documento, ossia una tessera di autocertificazione di ordine economico per evitare che qualche “furbetto”, che potrebbe farcela anche senza questa opera di beneficenza, ne approfitti a scapito di chi veramente ha bisogno.

Avevamo una qualche preoccupazione perché la struttura è un po’ decentrata, anche se è raggiungibile dagli autobus dell’Actv. Però alla distanza di un paio di settimane abbiamo felicemente avuto un riscontro assai positivo, tanto che ogni giorno i vari magazzini di questa enorme struttura di 3.500 metri quadrati sono affollati.

Col passar del tempo verranno affrontate e risolte le difficoltà che ogni struttura presenta all’inizio della sua attività. Va ricordato che il nostro centro di solidarietà consiste nella prima esperienza di questo tipo realizzata in Italia, tanto che dalla Sardegna al Piemonte abbiamo già ricevuto richieste di visite da parte di Enti già impegnati nel campo della solidarietà che vogliono rendersi conto di persona di come funziona il nostro Ipermercato.

Per ora invitiamo tutti i nostri concittadini, in difficoltà o in condizioni economiche confortevoli, a visitare il centro per avere o per offrire aiuto.

AAA volontari cercasi

Il trasferimento dei magazzini della carità dal Centro don Vecchi alla nuova struttura degli Arzeroni, che è molto più grande, ha palesato che c’è bisogno di più volontari

Fin dal primo sogno dell’ipermercato della solidarietà, abbiamo deciso di tentare ogni mezzo perché, in quello che poi si sarebbe manifestato come un vero “miracolo” di carattere solidale, venissero coinvolti tutti gli abitanti della nostra città; credenti o non credenti, giovani o anziani, ossia tutte le persone che possono aiutare in qualche modo perché questa splendida impresa abbia successo e faccia di Mestre l’esempio di una città veramente solidale. Già ho scritto che sogno che nei cartelli stradali che indicano le vie d’accesso alla nostra città, sia scritto “Mestre, Città della solidarietà”.

Per dar l’esempio, anch’io vecchio prete, ultranovantenne, mi sono messo a disposizione per informare frequentemente i miei concittadini sulle problematiche che insorgono nel nostro “ipermercato”, perché esso rappresenti una soluzione quanto mai esemplare e divenga un punto di riferimento utile anche per tutte le altre città del nostro Paese. Per questo motivo mi sono offerto di interessare l’opinione pubblica, il più frequentemente possibile, segnalando successi e insuccessi, tentativi più o meno urgenti del nostro ipermercato; perché questa iniziativa di carattere solidale esprima e realizzi al massimo la sua potenzialità.

Ho già in programma di riferire prossimamente su alcune notizie positive, però credo più urgente dedicare questo intervento ad un argomento che ci preoccupa alquanto.

Il trasferimento dal Centro don Vecchi alla nuova struttura degli Arzeroni dei magazzini della carità, ha subito messo in evidenza che abbiamo bisogno di più volontari, perché la struttura è molto più grande e complicata e soprattutto perché siamo alla vigilia del grande esodo per le ferie estive.

La direzione dell’ipermercato della carità sta già distribuendo un volantino col quale si invitano i concittadini ad offrire un po’ del loro tempo per collaborare alla gestione di questa nuova struttura della carità. Premetto subito che non c’è bisogno di alcuna qualifica particolare per svolgere questo servizio e che si accettano volontari dai 15 anni in su, maschi o femmine, che accettino di offrire parte del loro tempo a favore dei poveri che ci chiedono aiuto.

Facciamo quindi un caldo e accorato appello, soprattutto alle persone con le quali penso condividiamo il monito del Vangelo “Ama il tuo prossimo come te stesso”: quindi ai cristiani praticanti, scout, catecumenali, azione cattolica, S. Vincenzo, Caritas, ma pure a tutte le persone di buona volontà.

Nel volantino che distribuiremo, ognuno potrà mettersi direttamente a contatto con l’associazione “Il Prossimo”, per concordare tempi e modalità di servizio. Facciamo quindi nostro l’appello di don Zeno Saltini, il fondatore di Nomadelfia, il quale cercò volontari per la sua opera con queste parole: “Angeli dalle trombe d’argento suonate l’accolta di tutti gli uomini e donne di buona volontà, voi conoscete i loro nomi, dove abitano e il numero dei loro cellulari, chiamateli perché ci aiutiamo reciprocamente a costruire un mondo nuovo in cui ogni cittadino fragile o in difficoltà possa trovare aiuto”. Invito quindi questi angeli perché riprendano le loro trombe d’argento affinché nell’ipermercato aderisca un numero abbonante di volontari! Ringrazio ed attendo un gran numero di risposte.

N.B.: Potrete contattare il presidente dell’associazione il Prossimo, Edoardo Rivola, alla mail edoardo.rivola@gmail.com

L’ipermercato della solidarietà

Alcune settimane fa, per accontentare don Gianni, ma non sono proprio certo di averlo accontentato, scrivendo le cose che sento il dovere di scrivere, gli ho preparato un articolo sull’ipermercato della carità, pubblicato anche in questo blog.

A proposito di questa nuova struttura il signor Rivola, consigliere della Fondazione, ha suggerito di dedicarlo a Santa Marta, l’amica di Gesù, che a differenza di sua sorella Maria, tutta “santificetur”, s’è data da fare per preparare la cena a Gesù, perché anche il figlio di Dio aveva bisogno di mangiare qualcosa! Mi piace sognare che questa struttura moderna, che si rifà alle cosiddette politiche del riciclo, che rappresenta uno degli indirizzi di politica economica oggi all’avanguardia perché tende ad utilizzare anche quello che nel passato andava perduto, metta finalmente in evidenza che, per fortuna, vi sono oggi anche a Mestre cristiani che non si limitano ai riti, ma che concepiscono un cristianesimo di iniziativa, di ricerca e soprattutto di solidarietà.

Oggi passando per quel degli Arzeroni ho visto un aggeggio che quasi toccava il cielo, il quale stava issando la gru per iniziare i lavori. Vi confesso che ho avuto la sensazione che quella visione rappresentasse due mani in preghiera; lo scheletro di una cattedrale gotica che cantava la gloria di Dio e la pace di buona volontà. Il vedere il cantiere che si mette in movimento, il sapere che una ventina di operai avrà lavoro sicuro per un anno mi fanno veramente felice!

Io spero che Brugnaro, che tutto sommato per me è stato un sindaco più concreto degli altri, scriva finalmente nei suoi manifesti elettorali che d’ora in poi la richiesta dei cittadini di costruire a spese proprie senza disturbare né Regione nè Comune avrà una risposta al massimo entro un mese: che per una convenzione non ci voglia più di una settimana! Per quanto riguarda il supermercato della carità le cose però sono andate ben diversamente. Su questo discorso, sull’efficienza del Comune e del suo apparato burocratico, se ne avrò modo ritornerò di frequente.

I mali però non sono tutti di origine civile, perché anche nella Chiesa, della quale mi sento parte viva, le cose non vanno tanto meglio. A proposito di ipermercato, sento il bisogno di riferire che “il Prossimo”, ossia l’associazione che gestirà l’ipermercato, quest’anno, per Pasqua, ha ricevuto in dono sei-sette mila colombe, delle marche più rinomate. Spessissimo ci giungono bancali di yogurt con la scadenza di due o tre giorni o di altri generi alimentari deperibili: non vi dico la difficoltà di distribuire questo ben di Dio! Mi auguro che prima o poi la diocesi riorganizzi tutto il settore della carità, che nomini una commissione per verificare l’efficienza della “Caritas” e delle San Vincenzo parrocchiali. Spesso però mi capita di pensare che le nostre organizzazioni non siano molto migliori di quelle con le quali Franceschiello gestiva il regno delle due Sicilie.

Il mondo della finanza, e quello tecnico, sono in costante ricerca di soluzioni innovative, in linea con la sensibilità e la necessità di un mondo che sta mutando in maniera tanto veloce quanto non lo fu mai nel passato e perciò il bisogno di ricerca e innovazione è quanto mai urgente e necessario. Mi rammarica il pensiero che queste situazioni mi turbavano già più di mezzo secolo fa, sono infatti sessanta anni che faccio il prete e mi duole il pensare di dover lasciare questo mondo e questa Chiesa così lenta, e così in ritardo nell’impegno di tradurre il messaggio di Cristo quanto mai radicale con termini e soluzioni aggiornate ed adeguate alle esigenze del nostro tempo.

Spero a giorni di pubblicare un volumetto su “Le mie esperienze pastorali – 1954-2004” perché il giovane clero e la Chiesa di Venezia possano rendersi conto del punto a cui la vecchia generazione è arrivata e quindi sia consapevole del punto da cui deve ripartire.

L’ipermercato della carità

Don Gianni, il presidente della Fondazione che gestisce i Centri don Vecchi, insiste da tempo perché, almeno qualche volta, intervenga su L’incontro, periodico che è il portavoce di suddetta Fondazione, per offrire un qualche contributo di pensiero. Finora ho fatto qualche resistenza, perché fin troppo convinto delle mie idee e polemico come sono sempre stato, temo di non trovarmi perfettamente in linea con la “politica” della Fondazione. Però il motivo di fondo è certamente e soprattutto quello dell’età; io con i miei 91 anni, appartengo al passato, anche se sono quanto mai curioso ed interessato al mondo che cresce. C’è poi un po’ di amor proprio perché, consapevole dei miei limiti, arrossisco quando rileggo i miei interventi di decenni fa, non ritrovando ora la freschezza, il brio e l’audacia del passato!

Questa settimana però ho finalmente accettato l’invito perché la Fondazione s’è impegnata in un progetto veramente grande che io ho sognato per l’intera vita senza riuscire ad attuarlo. Proprio in questi giorni s’è aperto il cantiere dell’ipermercato della Carità in quei degli Arzeroni. Fallito, per la miopia della società dei trecento campi, che da anni mantiene un’area incolta vicino al Centro don Vecchi di Carpenedo, e quello dell’impresa Perale preoccupata più del profitto che di quella della solidarietà, la Fondazione, con un’operazione intelligente e coraggiosa, ha acquistato un’area di circa trenta mila metri in quel degli Arzeroni vicino agli attuali Centri don Vecchi 5-6-7 per costruirvi quello che sarà di certo la prima struttura del genere non solo d’Italia ma d’Europa.

Sento un profondo orgoglio che una piccola comunità, com’è la parrocchia di Carpenedo, abbia messo le premesse e poi osato di dar vita ad una struttura che nel campo della solidarietà si può paragonare alla “scoperta dell’America!” Finalmente dei cristiani si presentano all’opinione pubblica con una soluzione, in linea con i tempi, per dare una risposta coerente, moderna, efficiente, all’imperversare delle nuove povertà. Finalmente s’è superato il concetto dell’elemosina con qualcosa di socialmente valido che rispetta chi è in difficoltà, lo coinvolge in questa esperienza di solidarietà e l’aiuta in maniera rispettosa della propria dignità.

L’apertura di questo cantiere è per me un fatto di enorme importanza e dimostra ancora una volta che “il privato sociale” può offrire un contributo estremamente significativo al problema della solidarietà, e dimostrando l’insipienza dell’amministrazione civile che non sempre incoraggia ed aiuta questo mondo del volontariato, che esprime meglio di ogni organismo burocratico la capacità di aprire nuove strade. Mi auguro che la nuova struttura, che sta nascendo, faccia prendere coscienza che l’amministrazione pubblica deve avvalersi maggiormente di questo terzo settore, lo debba promuovere, e favorire in ogni modo, abbandonando la pretesa di dar vita e di voler gestire in proprio, con costi enormi ed in maniera burocratica e poco efficiente, tutto ciò che esprime la solidarietà. La scelta della Fondazione di aprire questo “nuovo fronte” e di impegnarsi in questa “operazione impossibile” spero aiuti i politici a cambiare mentalità, non pensando più di fare un favore permettendo queste soluzioni, ma a ringraziare invece per la loro preziosa collaborazione a livello sociale.

Penso di ritornare su questi argomenti perché sono assolutamente convinto che è finito il tempo, che il volontariato non debba più presentarsi col cappello in mano per ottenere il permesso di impegnarsi per gli ultimi, ma che invece è giusto quello che siano i responsabili della pubblica amministrazione a chiedere questo aiuto e a favorire sia a livello burocratico che a quello economico ciò che i cittadini si impegnano a fare in tutti gli aspetti della solidarietà. Ho l’intenzione di ritornare a riflettere e dare voce alla finalità di questo “supermercato” sui generis, però sento il bisogno di ribadire con forza che questa realizzazione, prima del servizio prezioso che possiamo offrire al prossimo, ha il merito di svecchiare, di sburocratizzare, una gestione pubblica ormai superata, lenta e costosa.

Aiutare chi ha aiutato

La diocesi di Venezia ha deciso di creare una struttura per i preti non più autosufficienti. Un luogo che si occupi di chi già ha speso la propria vita per il bene delle nostre parrocchie

“Ora mi puoi lasciare andare in pace, Signore!”
Non so se il santo vecchio Simeone, che abbiamo incontrato qualche giorno fa in occasione della festa della presentazione di Gesù al tempio, fosse più o meno anziano di me. Penso fosse più giovane, visto che io a giorni compio 91 anni! La sua affermazione “Ora Signore, che ti ho finalmente incontrato, posso morire in pace” mi ha particolarmente colpito. Di recente ho ricevuto una buona notizia che aspettavo da una vita e sono davvero felice: finalmente la diocesi di Venezia ha deciso di creare una struttura per i preti non più autosufficienti e ha nominato una commissione che si occuperà di realizzarla. Di certo, il vecchio Simeone aveva motivi più validi del mio, comunque le buone notizie fanno sempre bene!

Sono lieto che ci si occupi dei preti che hanno speso la loro vita per il bene delle nostre parrocchie e che hanno il diritto di terminare la loro esistenza con dignità, accolti ed aiutati, in una struttura adeguata al loro passato e alla loro attuale condizione di fragilità.

Permettetemi di spendere qualche parola per spiegare meglio il motivo della mia soddisfazione. Molti, forse per incoraggiarmi, mi dicono che a 91 anni sono ancora una “roccia”, mentre io avverto tutta la mia fragilità fisica e psicologica. Non passa settimana senza che qualcuno dei miei coinquilini al don Vecchi sia costretto ad andare in casa di riposo per l’aggravarsi dei suoi acciacchi e porti con sé il patema di pesare sui figli, viste le rette impossibili richieste dalle strutture della nostra città.

Io, che posso contare soltanto su fratelli anziani, ognuno dei quali ha le proprie difficoltà, ho sempre vissuto il problema degli anziani con grande preoccupazione. E infatti, quando 25 anni fa ho costruito il primo centro don Vecchi, ho messo a disposizione della diocesi sei appartamenti, strutturati in modo che il sacerdote potesse portare con sé la sua perpetua per essere accudito adeguatamente. Con il passare del tempo, ho capito che chi non è più autosufficiente ha bisogno anche di un presidio medico ed infermieristico che non avrei mai potuto fornire disponendo soltanto di sei alloggi, per quanto confortevoli fossero.

In questi anni mi sono trovato spesso a confrontare la mia pensione con le rette applicate dalle case di riposo della nostra città e, con amarezza, ho dovuto concludere, non senza preoccupazione, che mi sarei potuto permettere al massimo 15 giorni al mese. Un mese fa un sacerdote di Treviso, che ha diretto la Casa del clero della sua diocesi per una quindicina di anni, mi ha assicurato che, a Treviso, basterebbe anche la mia pensione. Pur essendomi rasserenato, mi è rimasto nel cuore il desiderio di “morire in patria” assieme ai miei colleghi di sacerdozio!

Don Marino Gallina, mio vecchio cappellano, che oggi ricopre un ruolo di responsabilità presso l’ufficio per il mantenimento del clero, mi ha assicurato che la diocesi non abbandona i suoi vecchi preti, tuttavia, viste le soluzioni proposte a quelli ospitati al centro Nazareth a Zelarino e al Contarini alla Gazzera, non c’è molto di cui essere allegri!

Ripeto quindi che mi ha fatto particolarmente piacere sentire che il Patriarca e il consiglio presbiterale abbiano affrontato e stiano risolvendo questo annoso problema. Spero che lo facciano presto, perché a 91 anni non ho di certo molto tempo! Mi riservo quindi di intervenire ancora sull’argomento per coinvolgere la città e, qualora sia gradito, offrire idee e soluzioni alle quali sono giunto in questi ultimi tempi. Metto inoltre a disposizione la nostra organizzazione e un aiuto economico.

Sogni e fallimenti

Nel post precedente ho tentato di inquadrare la situazione di Ca’ Letizia e della mensa dei poveri. Il progetto, perseguito da Monsignor Vecchi e da me stesso, non si fermava al punto in cui l’ha lasciato la San Vincenzo alla fine del 1971, quando sono stato nominato parroco a Carpenedo, ma prevedeva anche un centro che studiasse le problematiche della solidarietà a Mestre, coordinasse e mettesse in rete gli enti e le strutture che operano a livello cittadino. In seguito alla mia partenza e alla morte di monsignore, la realizzazione si è bloccata.

Io mi sono trovato per la prima volta alla guida di una comunità grande e problematica negli anni della contestazione, tempi difficilissimi anche a livello pastorale. A poco a poco tuttavia sono riuscito, grazie alla collaborazione dei parrocchiani che si sono adoperati per la carità, a ristrutturare l’ente Piavento e a dar vita a strutture come Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa e Ca’ Elisabetta per dare alloggio ad anziani poveri. Inoltre ho rinvigorito il gruppo maschile e femminile della San Vincenzo e ne ho costituito uno di giovani.

In seguito sono nati il gruppo “Il Mughetto” per l’assistenza ai disabili e il “San Camillo” per l’assistenza ai malati. In quegli anni abbiamo aperto Villa Flangini ad Asolo per le vacanze degli anziani, il “Ritrovo”, circolo ricreativo per gli anziani e, nel contempo, abbiamo iniziato a stampare il mensile “L’anziano” per persone della terza e della quarta età. Poi è iniziata l’avventura dei Centri don Vecchi 1, 2, 3, 4 e il mio successore, don Gianni Antoniazzi, ha realizzato il 5, 6 e 7. Abbiamo aperto il sito “Mestre solidale” per fornire alle persone in difficoltà informazioni sugli enti di beneficenza presenti sul territorio.

A un certo punto sembrava che la Provvidenza e tramite l’architetto Giovanni Zanetti ci mettessero a disposizione un’area di 40.000 m² a Favaro, così ho iniziato a sognare “la cittadella della solidarietà”, che riprendeva il vecchio progetto elaborato con la San Vincenzo. Il patriarca Scola, venuto a conoscenza dell’iniziativa, parve sostenerla e, infatti, promosse due o tre incontri invitando gli enti caritativi di Mestre che, con un’espressione brillante, definì la “pala d’oro” della chiesa veneziana”.

Purtroppo un inghippo imprevisto per il terreno e il successivo trasferimento a Milano di monsignor Scola hanno mandato di nuovo tutto in fumo. Sennonché, come dimostrano la costruzione del villaggio solidale degli Arzeroni, costituito dai Centri don Vecchi 5, 6, 7 e da 30.000 m di terreno acquistato per realizzare l’ipermercato della solidarietà, la Provvidenza sta rilanciando il mio sogno. “Il Polo solidale” del don Vecchi, che comprende il magazzino dei mobili e dell’arredo per la casa, lo spaccio dei generi alimentari in scadenza, quello dei generi alimentari del Banco solidale e il chiosco di frutta e verdura, ha dato vita a un’agenzia caritativa che credo non abbia eguali in tutto il Veneto!

Questo “miracolo di solidarietà”, infatti, ha indotto la Fondazione Carpinetum a costruire l’ipermercato della carità che spero possa diventare un modello per altre strutture simili in ogni diocesi del nostro paese. Questa nuova situazione potrebbe fornire lo spazio adeguato per la creazione di un “governo” o almeno di un organismo di studio, progettazione e coordinamento delle attività solidali di matrice religiosa e laica esistenti nella nostra città.

Confesso quindi che continuo a sognare a occhi aperti e a fare quanto è in mio potere, forte della realizzazione di 500 alloggi per anziani e dell’associazione “Il Prossimo” che già aiuta in maniera molto seria decine di migliaia di poveri ogni anno. Confido che ciò possa senz’altro rappresentare una buona base di partenza. Comunque, se la cosa non dovesse andare in porto, ho già pronto il testamento per lasciare in eredità ai posteri questo progetto irrealizzato.

La “mia” Ca’ Letizia

La stampa cittadina in questi ultimi tempi ha riportato le mie opinioni riguardo alla mensa dei poveri di Ca’ Letizia. Forse per imperizia nell’illustrare il mio pensiero (ricordo a tutti che ho quasi 91 anni), non mi sono sempre ritrovato in quello che è stato scritto, quindi tento di precisare le mie idee.

A proposito dell’ubicazione attuale della mensa, a tutti coloro che hanno protestato fin dall’apertura, ho citato le parole che il diacono San Lorenzo, amministratore della carità della Chiesa, pronunciò duemila anni fa al prefetto romano che voleva vedere le ricchezze della Chiesa. Presentando i poveri che aiutava, disse: “Questa è la ricchezza della Chiesa!” Anch’io la penso così. I poveri che aiutiamo sono il distintivo e la gloria per noi cristiani! Di conseguenza, non esiste alcun motivo al mondo per allontanarli o renderli invisibili agli occhi della nostra città anzi è un dovere che la città conosca questa situazione. E a quei cittadini del centro che pretendono di avere qualche riguardo in più rispetto di chi vive in periferia vorrei dire che i poveri sono prodotti dalla città, ed essa deve pertanto farsene carico, aiutandoli in maniera civile e corretta. Questo vale sia per la Chiesa sia per la comunità civile.

Vengo poi alla mensa che ho conosciuto e per la quale mi sono impegnato: essa è una realtà più articolata e più ricca di quanto non riveli il termine “mensa dei poveri”. Ai miei tempi, e spero anche oggi, offriva la cena e poi anche la colazione, aveva aperto una rivista mensile “Il Prossimo” che tentava di creare una cultura solidale, gestiva un magazzino di indumenti, offriva un servizio di docce e di parrucchiere, mandava in vacanza ogni estate decine e decine di anziani poveri e di adolescenti di “Macallé” e di “Ca’ Emiliani”. Inoltre organizzava il caldo Natale con gli scout per regalare un po’ di calore nella stagione invernale, invitava al Laurentianum per parlare di solidarietà oratori qualificati come padre David Maria Turoldo, Oliviero dal Sermig di Torino, monsignor Povoni, assistente della San Vincenzo nazionale e tanti altri.

Ca’ Letizia incontrava ogni mese i responsabili della carità di tutte le parrocchie di Mestre per studiare e organizzare insieme piani di intervento a favore degli indigenti. Ogni anno, in collaborazione con i maestri delle scuole elementari di Mestre, organizzava un concorso per educare i cittadini di domani alla solidarietà. La San Vincenzo ha promosso una campagna per la costruzione di asili nido, che all’epoca erano quasi inesistenti. Nel contempo si è battuta per ridurre la retta dei degenti in casa di riposo ed è arrivata a chiedere alla Regione una verifica amministrativa dei costi! E come dimenticare i gruppi di assistenza che operavano all’ospedale all’Angelo, al Policlinico e nelle case di riposo?

Non dobbiamo infine sottovalutare il volontariato di adulti che svolgeva il servizio in mensa o le centinaia e centinaia di studenti delle superiori che hanno avuto modo di conoscere da vicino il mondo della povertà servendo a tavola il centinaio di poveri che ogni sera si ritrovavano a Ca’ Letizia per la cena.

Chiudere Ca’ Letizia significa turbare i difficili equilibri di una realtà grande ma fragile, che è vissuta in maniera del tutto autonoma, senza ricevere alcun contributo da parte del Comune e pochissimi aiuti dalla diocesi. Non è certamente un dogma di fede non spostare la sede di un ente così complesso e nel contempo così importante per la solidarietà cittadina. Mi auguro che in questa operazione venga salvaguardato il passato e soprattutto che si approfitti per rilanciare strutture e iniziative solidali nella nostra città.

In passato questa associazione benefica ha avuto presidenti di valore e prestigio come l’ingegner Lui, direttore dell’aeroporto, il ragionier Enzo Bianchi, amministratore delegato della Coin, il direttore della Crea, società delle acque, dell’attuale dottor Dottor Bozzi e di tanti altri eminenti cittadini di grande sensibilità sociale. E come non menzionare la signorina Aprilia Semenzato, vicepresidente fin dalla nascita di Ca’ Letizia, che ha donato i migliori anni della sua giovinezza e della sua maturità alla causa dei poveri di Mestre.

Mi permetto di terminare con un consiglio che ho già espresso alla stampa cittadina: monsignor Vecchi ha costruito un asilo attiguo alla casa di riposo di via Spalti, previo accordo con il suddetto ente, una struttura che è rimasta in funzione fino ad alcuni anni fa. Alla scadenza dei 25 o 30 anni concordati, l’edificio è stato riconsegnato alla casa di riposo e da cinque o sei anni è in stato di completo abbandono. L’ubicazione e la vicinanza con l’asilo notturno rappresenta, a mio avviso, una soluzione davvero ottimale. Un accordo tra Comune e diocesi accontenterebbe i cittadini di via Querini, il sindaco e il Patriarca e salverebbe l’associazione San Vincenzo che è stata, ed è bene che rimanga, la “coscienza” vigile e operativa della nostra città a livello di solidarietà.

Due altri sogni

Qualche mese fa, in uno dei rari incontri che abbiamo avuto, don Gianni, il mio successore in parrocchia, sempre oberato da infiniti e assillanti impegni pastorali, mentre parlavamo dei progetti della Fondazione Carpinetum, mi ha chiesto a bruciapelo: “Quanti anni pensi di avere ancora da vivere, don Armando?” Questa bizzarra domanda, che di solito non si pone alle persone in età avanzata, mi ha lasciato perplesso e stordito. Consapevole del fatto che l’età media degli anziani di cui celebro il funerale in cimitero è compresa tra gli ottanta e i novant’anni, ho risposto: “Se mi va bene, avrò al massimo un paio d’anni!” Per natura, sono sempre stato un grande sognatore, ma vi confesso che oggi mi guardo bene dal sognare progetti che richiedono tempi lunghi per essere realizzati. Quando, mio malgrado, cado in tentazione, dico a me stesso “Cala, trinchetto“, come recitava il famoso spot televisivo.

A voi, cari lettori, che mi avete letto per tanti anni sulle pagine di lettera aperta, di Carpinetum, de L’incontro e su questo sito, e che forse qualche volta mi avete anche compatito, confido che da mesi c’è un pensiero che mi tormenta come una zanzara molesta: vorrei fare qualcosa per quei 500 senzatetto che dormono in balia dello smog che incombe sul cielo della nostra città.

A dire il vero, ho domandato a un amico geometra di realizzare un progettino per un alloggio di almeno una ventina di posti letto, da assegnare per un paio di euro a notte. L’idea è offrire una piccola stanza, sobria ed essenziale, dove si possa riposare. Chi mi conosce sa che per me i sogni non valgono quasi niente, se non diventano mattoni. La Provvidenza mi ha fatto incontrare una persona disposta ad accollarsi l’onere finanziario del progetto, però non è finita qui.

Qualche giorno fa, ho letto su Il Gazzettino che 20 mila studenti universitari faticano a trovare una camera in città per meno di 300 euro al mese. Di fronte a questa triste notizia, che è solo l’ultima delle molte che campeggiano sui nostri quotidiani, la mia mente si è messa di nuovo in moto e sono giunto a una conclusione: a fare investimenti improduttivi ci pensano già i Cinquestelle, quindi è meglio che io mi spenda per aiutare ragazzi intelligenti e volonterosi destinati a diventare architetti, medici, operatori economici e quant’altro, che potrebbero far uscire il Paese dall’inedia sociale. Sono convinto che credere nei giovani sia sempre un buon investimento. Di conseguenza, ho deciso di passare quanto prima il progetto, e il relativo finanziamento, alla Fondazione affinché possa valutare l’eventualità di aggiungere un’adiacenza all’ipermercato della solidarietà, che dovrebbe aprire i battenti entro la prossima estate. Cari lettori, voi cosa ne pensate?

Qualcuno mi ha proposto di aiutare la mensa dei poveri che, stando a quanto affermano i giornali, sarà trasferita da via Querini in un luogo imprecisato. A me, in realtà, risulta che saranno la Curia, la Caritas e il Comune a provvedere, quindi ritengo che per questo sia giusto cedere loro il passo. Comunque, se qualche concittadino avesse un suggerimento da offrirmi, sarò ben lieto di prenderlo in considerazione.

Il volto nobile di Mestre

Come voi lettori ormai sapete bene, quando indosso i panni del “giornalista”, prediligo le notizie positive, soprattutto se riguardano la nostra città. A dispetto dei risultati modesti e discontinui che ho ottenuto, ho sempre tentato di dare voce e visibilità alla “cronaca bianca”, grazie alle mie rubriche: Il diario di un parroco di periferia, I fioretti dell’anno duemila, Il giornale in bianco. Pur avendo deciso di concludere queste esperienze per raggiunti limiti di età, se mi capita d’imbattermi in una notizia significativa, che racconta il bene, non riesco a tenerla per me e m’impegno a divulgarla affinché i miei concittadini prendano coscienza del fatto che a Mestre non ci sono solo “rami secchi” che fanno rumore mentre cadono. Esiste anche una “foresta di bene” che continua a crescere in silenzio e con umiltà.

Rompo gli indugi e vengo all’ultima notizia che mi ha spinto a prendere in mano la penna. Il mio intento è far sapere a tutti che possiamo ancora contare su testimonianze splendide che ci aiutano a lodare il Signore e a credere in una società più solidale e fraterna. Di recente la dottoressa Giustina Saccardo Scaldaferro, mia coetanea, mi ha consegnato 12 mila euro a favore dell’Ipermercato solidale, per il quale la Fondazione Carpinetum a fine giugno ha posato la prima pietra agli Arzeroni e confida di arrivare all’inaugurazione il prossimo anno.

Permettetemi di compiere un balzo nel passato per collocare la generosa offerta appena ricevuta in una cornice che ne sottolinea il valore e l’importanza. Nella primavera del 1995, con una scelta decisamente azzardata, avevo appena firmato il contratto per la costruzione del Centro Don Vecchi 2. Mancava 1 miliardo e mezzo delle allora lire per coprire l’intera spesa e temevo davvero di aver fatto il passo più lungo della gamba, come si suol dire. In quel frangente, la signora Saccardo mi offrì 23 milioni di lire. In seguito, a me, che avevo soltanto collaborato con sua sorella Rosanna, ha consegnato altri 350 milioni di lire, ereditati dal defunto marito. Nell’arco di un paio d’anni, ha destinato alle mie opere un altro miliardo e mezzo di vecchie lire, soltanto per citare le somme più consistenti, alle quali negli ultimi vent’anni si sono aggiunte altre donazioni meno ingenti ma ugualmente significative.

Vi racconto queste cose per alimentare la fiamma della speranza in un mondo migliore. Certo, data l’entità, queste offerte non sono passate inosservate, tuttavia non sono gli unici segni di solidarietà che sono sotto i nostri occhi ogni giorno. Vorrei ricordare i volontari che tutte le mattine si alzano alle quattro per andare a prendere la frutta e la verdura al mercato di Padova e Treviso, chi per vent’anni ha organizzato il più grande magazzino del Triveneto di indumenti per i poveri, chi serve a tavola al Senior Restaurant, chi fa il giro dei supermercati dell’hinterland per raccogliere i generi alimentari in scadenza, chi gestisce i 500 alloggi dei Centri don Vecchi e, non ultime, le persone che assistono i nostri anziani. Alla signora Giustina Saccardo e alla schiera di “militi ignoti della carità”, di cui io e il buon Dio conosciamo il nome, ma soprattutto la generosità e lo spirito di sacrificio, presto la voce e la penna molto volentieri.

Voglio ringraziarli, a nome dell’intera città, perché fanno da contrappeso lle tante meschinità di cui ci informano i mass media.

Un invito particolare

Il Consiglio di amministrazione della Fondazione Carpinetum, tramite la direzione dei Centri don Vecchi della quale è titolare la dottoressa Cristina Mazzucco, s’è dato molto da fare per portare alla conoscenza dei cittadini l’inaugurazione del settimo Centro don Vecchi in programma sabato 29 giugno alle ore 11 in località Arzeroni dove già sorgono il Don Vecchi 5 e il 6. Questo nuovo centro metterà altri 56 alloggi e 12 stanze “formula uno” già da subito a disposizione di persone che si trovano in difficoltà abitative.

Con questa inaugurazione la Fondazione Carpinetum, che gestisce i sette Centri don Vecchi, mette a disposizione in totale 508 alloggi per anziani di modeste condizioni economiche e di altre categorie di persone che attualmente si trovano in notevole disagio abitativo: padri e madri separati e famiglie in gravi difficoltà per motivi diversi.

So che si sono spediti molti inviti a tutte le persone particolarmente coinvolte nelle diverse problematiche delle vecchie e nuove povertà e che sono impegnate nel settore della solidarietà. So che son stati informati i giornali della città e le televisioni locali con comunicati stampa, perché chi si trova in disagio abitativo sappia di questa opportunità e chi invece dispone di mezzi economici possa concorrere a questa splendida impresa di carattere solidale, quanto mai innovativa e rispondente alla sensibilità odierna.

Le strutture della Fondazione Carpinetum sono di certo più simili ai residence di pregio che alle case di riposo e sono supportate da una dottrina che esalta l’autonomia, la solidarietà e che tende con ogni mezzo a far sì che le persone rimangano autonome fino alla fine dei loro giorni, pur potendo esse contare su una “protezione” anche se leggera, ma sicura e affidabile, che le rende più serene.

Mi piace, inoltre, aggiungere che il costo di suddetti alloggi si rifà assolutamente a criteri di solidarietà, motivo per cui siamo sicuri che non c’è nella nostra Regione alcun ente in grado di offrire alloggi il cui “costo” sia inferiore a quello richiesto dalla Fondazione per i Centri don Vecchi.

Vengo alla conclusione di questo discorso, che è poi il motivo di fondo che mi ha spinto a scrivere queste righe. In questi ultimi trent’anni, che racchiudono la bella storia di questa splendida impresa di carattere solidale, sono stati innumerevoli i cittadini che mi hanno messo a disposizione i fondi che sono serviti per queste realizzazioni. Perciò desidererei quanto mai che fossero moltissimi i concittadini che partecipano a questa inaugurazione agli Arzeroni perché possano vedere con i propri occhi dove sono andate a finire le loro offerte più o meno consistenti e avessero pertanto la prova tangibile che la loro “carità” è stata amministrata in maniera seria, trasparente ed intelligente.

Questi cittadini possono dunque continuare a fidarsi di questo povero e vecchio prete e di tutti coloro che hanno fatto propri i suoi sogni e li stanno realizzando con tanto coraggio e grande generosità.

Santi benefattori

Come i lettori del blog e de L’Incontro avranno senza dubbio notato, da qualche settimana tento di scrivere la storia dei Centri don Vecchi, come riesce a farlo un novantenne. Gli articoli escono settimanalmente, quindi può diventare un po’ difficile non perdere il filo logico del racconto di un’impresa che mi ha visto impegnato per una trentina d’anni.

Ho deciso di narrare, seppur per sommi capi, la nascita di questo progetto per “brevettarlo” di fronte all’opinione pubblica in modo che, in futuro, sia possibile riconoscere la differenza tra il mio sogno e le possibili interpretazioni che verranno realizzate. Inoltre, volevo rispondere alla legittima curiosità dei miei colleghi e dei miei concittadini che spesso mi chiedono come sono stato in grado di reperire le ingenti somme necessarie.

Chi avrà voglia e pazienza di leggere, verrà a conoscenza di una storia piuttosto complessa. In uno degli articoli di prossima pubblicazione ricordo di aver scritto che, dopo aver saldato il debito del Don Vecchi 7, le offerte pressoché quotidiane che riceviamo verranno destinate alla realizzazione dell’Ipermercato solidale in quel degli Arzeroni. Tuttavia, per onestà, ho puntualizzato che siccome l'”azione” sottoscritta, la “mezza azione”, la “mezza abbondante” o la “quasi mezza” non bastano a coprire le spese cospicue, servono contributi più significativi, a più zeri. Concludendo la mia confidenza, ho ammesso che, per affrontare questo compito molto impegnativo, ho chiesto aiuto come nel passato, alla divina Provvidenza, l’unico sostegno sempre efficace.

Da allora, ho atteso con curiosità per vedere chi avrebbe accettato di diventare uno strumento nelle mani del buon Dio. L’apertura del cantiere dell’ipermercato è prevista per il prossimo mese. Al momento stiamo installando i prefabbricati e l’imponente gru che servirà per costruire la nuova struttura. Quindi la divina Provvidenza si è già messa all’opera presentandomi i primi benefattori di cui il Signore ha pensato di servirsi.

Immagino vi farà piacere conoscere i loro nomi e l’entità delle loro offerte. La signora Leda Marescalchi di Venezia ha messo a mia disposizione prima 25.000 euro, che il defunto marito aveva destinato a questo scopo, poi altri 25.000 euro ricavati dalla vendita di buoni postali che erano i risparmi per la sua vecchiaia. La seconda benefattrice è una signora già molto nota per le sue donazioni precedenti, la dottoressa Giustina Saccardo Scaldaferro, che ha offerto 12.300 euro. Il terzo benefattore è un’associazione, il Rotary Club di Mestre, che ci ha donato 10.000 euro. La quarta persona è una signora di Carpenedo, alla quale non ho chiesto se potevo pubblicare il suo nome, che mi ha affidato 5.000 euro. La quinta è la signora Lisa Paola Rubelli che prima ci ha messo a disposizione i tessuti della sua azienda, dalla cui vendita abbiamo realizzato un bel gruzzoletto, e poi a Pasqua ci ha inviato 2.000 euro. La sesta è una signora che nel suo testamento ha destinato il 20% di quanto possiede alla Fondazione Carpinetum.

Tenendo conto che il cantiere non è ancora aperto, mi pare che l’inizio sia incoraggiante! Sono dunque sicuro che la Provvidenza non si dimenticherà né di noi, né dei poveri di Mestre.

L’arte ai Don Vecchi

Fino a mezzo secolo fa, Mestre era considerata un dormitorio per le decine di migliaia di operai che lavoravano nelle fabbriche di Marghera o la periferia povera e dimenticata di Venezia o un paesotto di campagna, al di là della laguna.

Seguo sempre con grande attenzione gli interventi sulla storia di Mestre che Sergio Barizza, storico brillante e competente, scrive ormai da molte settimane su L’Incontro circa le vicende del passato di Mestre. Ogni volta leggo con curiosità i suoi articoli, ammiro la perizia con cui illustra le poverissime “reliquie” di una storia poco celebre e mi sorprendo di come sa scoprire e incorniciare vicende poco gloriose e degne di attenzione. Però fortunatamente, da qualche decina d’anni, un gruppo di cittadini che ama la nostra città si è impegnato per darle un volto più nobile e una vita meno incolore, ottenendo risultati apprezzabili. Sto pensando a tante realtà associative, tutte vere e proprie “medaglie al petto” di Mestre poichè una città si può considerare tale soltanto se oltre alle case, alle botteghe e alle fabbriche offre anche cultura, ricerca, gusto del bello, poesia e bellezza.

La Fondazione Carpinetum, fin dalla sua nascita, si è assunta pure essa il compito di contribuire a far crescere a Mestre l’arte, e soprattutto la pittura. Vorrei ricordare ai miei concittadini che i Centri don Vecchi ospitano una grande pinacoteca nella quale chi cerca poesia e bellezza può trovare un paio di migliaia di opere d’arte di artisti in gran parte locali. Recentemente questa istituzione ha cominciato a dar vita a gallerie permanenti, dedicate a singoli pittori locali. Nel centro di Carpenedo c’è una galleria stabile e visitabile, che offre circa novanta opere di Vittorio Felisati. Al Don Vecchi di Marghera, invece, abbiamo una galleria dedicata a Umberto Ilfiore, mentre il Don Vecchi 5 ne ospita un’altra dedicata a Vittorio Felisati e al Don Vecchi 6 c’è quella di Toni Rota. Al Centro Don Vecchi 7, che sarà inaugurato a fine giugno, vi saranno altre gallerie permanenti: una di Renzo Semenzato, una di Agostino Avoni e una di Rita Bellini.

I Centri don Vecchi si qualificano principalmente per lo studio, la ricerca e la sperimentazione di soluzioni abitative più attente alla sensibilità e alle esigenze della terza e della quarta età, ma s’impegnano anche affinché i concittadini anziani e pure i giovani possano godere della bellezza che ci regalano gli artisti del nostro tempo.

Con questo mio intervento, vorrei raggiungere i pittori di Mestre, di Venezia e dell’hinterland, che desiderano farsi conoscere e “passare alla storia”, per informarli che siamo disponibili ad esporre una ventina delle loro opere, in una sede sempre degna.