La forza di un’utopia

La forza di un’utopia

Molti pensano che l’utopia sia un progetto che è destinato sempre a non realizzarsi mai, mentre io sono convinto che sia invece la spinta propulsiva verso una nuova “frontiera”, quella di dare volto e consistenza seria e reale alla solidarietà. Mi piacerebbe tanto che nella segnaletica delle strade che conducono alla nostra città fosse scritto: “Mestre città della solidarietà”. In questa impresa vi sono stati alcuni momenti nei quali anche io ho pensato, come Raul Follerau, l’apostolo dei lebbrosi, che scrisse nel suo testamento: “Lascio in eredità alla nuova generazione i progetti che non sono riuscito a realizzare”. Fortunatamente le realtà nelle quali sono vissuto mi hanno offerto un “filo rosso”, ora tenue ed ora consistente, che ci ha condotti alla realizzazione del supermercato della solidarietà, un progetto che cinquant’anni fa sembrava un’impresa assolutamente impossibile! Penso che molti concittadini siano contenti di conoscere questo “filo rosso” che, nonostante moltissime difficoltà, fra un mese ci potrà indicare il volto dell’utopia che per l’intera mia vita mi ha fatto sognare ed impegnarmi. Per esigenza di spazio non posso che elencare, in maniera sommaria queste tappe, ma in futuro potrei anche descrivere in maniera dettagliata gli eventi che ci hanno condotto alla realizzazione dell’ipermercato della carità.

  1. 1958: Adattata una “baracca” presso la canonica di San Lorenzo per la raccolta e distribuzione di indumenti per i poveri.
  2. 1959: “Il caldo natale” degli scout con raccolta e distribuzione di carbone e legname per il riscaldamento invernale.
  3. 1960: costruzione di Ca’ Letizia con mensa da 120 coperti, cena e colazione al mattino, magazzino indumenti, docce e barbiere, vacanze per ragazzi ed anziani, pubblicazione della rivista “Il Prossimo” per sensibilizzare la città.
  4. 1972: apertura di queste piccole strutture per alloggiare anziani poveri: Piavento – Ca’ Dolores – Ca’ Elisabetta – Ca’ Teresa – Ca’ Elisa.
  5. 1975: apertura de “la Foresteria” e del Foyer S. Benedetto, strutture per alloggiare lavoratori di paesi fuori Mestre e parenti di ricoverati in ospedale.
  6. 1977: apertura di Villa Flangini per le vacanze degli anziani e della Malga dei Faggi per le vacanze dei ragazzi.
  7. 1980: Inizio della costruzione dei sette Centri don Vecchi: 510 alloggi per anziani poveri, per padri e madri separati, per lavoratori fuori città, per famiglie disagiate, per parenti di degenti nei nostri ospedali; alloggi offerti gratis pagando solo utenze e spese condominiali.
  8. La bottega solidale chiosco di distribuzione di alimenti per i poveri.
  9. 1995 inizio del “Polo solidale”, 1200 metri di superficie per la raccolta e la distribuzione per i poveri di indumenti, mobili, arredo per la casa, supporti per disabili, generi alimentari, frutta e verdura. Il tutto gratis, solo richiesta di una piccola offerta per le spese di gestione.
  10. 2020: realizzazione dell’Ipermercato della Solidarietà per ospitare le attività del “Polo solidale” che finora operava presso il Centro don Vecchi 2 di Carpenedo. Struttura che la Fondazione Carpinetum ha voluto opportunamente chiamare: “Centro di solidarietà cristiana Papa Francesco”.

Questa realtà gode della stima e della elargizione quotidiana o settimanale di 21 ipermercati delle catene commerciali: Cadoro, Alì, Coop, Pam, Lidl, Interspar e soprattutto del “Banco alimentare di Verona”, del mercato generale di frutta e verdura di Padova e infine di un numero rilevante di attività commerciali.

Questa struttura sarà aperta a tutti i bisognosi di aiuto, ognuno sceglie quello che gli serve dando una piccola offerta cosi che pure il povero abbia solo la sensazione di contribuire al bene dei più poveri.

Le vere fondamenta di queste realtà, sono di natura squisitamente religiosa e poggiano su questa “pietra d’angolo” del pensiero cristiano: “Ubi Caritas ibi Deus”. “Dove c’è la Carità là s’incontra il Signore” Padre di tutti.

L’utopia però è un sogno che non ha mai una data come conclusione ma è invece come l’orizzonte, che man mano che si avanza verso di esso, continua a spostarsi più avanti. Ora il nostro orizzonte è la “cittadella della solidarietà”, una realtà che comprenda un centro studi per analizzare e risolvere le nuove povertà. Un centro di collegamento tra vari gruppi cittadini impegnati nei settori specifici della solidarietà che continui a progettare e a migliorare le strutture solidali già esistenti.

Tutto questo è stato realizzato dalle comunità parrocchiali guidate dai sacerdoti che si sono succeduti nel tempo. Ora tengono il timone don Gianni Antoniazzi e i suoi diretti collaboratori.

Aggiungo infine che il Comune ci ha agevolato con un notevole contributo burocratico e contiamo inoltre di trovare anche una collaborazione con Caritas. La Regione invece, nonostante ripetute sollecitazioni, non ha contribuito neppure con un centesimo a queste realtà che di certo sono un fiore all’occhiello della nostra Città.

Sogni e fallimenti

Nel post precedente ho tentato di inquadrare la situazione di Ca’ Letizia e della mensa dei poveri. Il progetto, perseguito da Monsignor Vecchi e da me stesso, non si fermava al punto in cui l’ha lasciato la San Vincenzo alla fine del 1971, quando sono stato nominato parroco a Carpenedo, ma prevedeva anche un centro che studiasse le problematiche della solidarietà a Mestre, coordinasse e mettesse in rete gli enti e le strutture che operano a livello cittadino. In seguito alla mia partenza e alla morte di monsignore, la realizzazione si è bloccata.

Io mi sono trovato per la prima volta alla guida di una comunità grande e problematica negli anni della contestazione, tempi difficilissimi anche a livello pastorale. A poco a poco tuttavia sono riuscito, grazie alla collaborazione dei parrocchiani che si sono adoperati per la carità, a ristrutturare l’ente Piavento e a dar vita a strutture come Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa e Ca’ Elisabetta per dare alloggio ad anziani poveri. Inoltre ho rinvigorito il gruppo maschile e femminile della San Vincenzo e ne ho costituito uno di giovani.

In seguito sono nati il gruppo “Il Mughetto” per l’assistenza ai disabili e il “San Camillo” per l’assistenza ai malati. In quegli anni abbiamo aperto Villa Flangini ad Asolo per le vacanze degli anziani, il “Ritrovo”, circolo ricreativo per gli anziani e, nel contempo, abbiamo iniziato a stampare il mensile “L’anziano” per persone della terza e della quarta età. Poi è iniziata l’avventura dei Centri don Vecchi 1, 2, 3, 4 e il mio successore, don Gianni Antoniazzi, ha realizzato il 5, 6 e 7. Abbiamo aperto il sito “Mestre solidale” per fornire alle persone in difficoltà informazioni sugli enti di beneficenza presenti sul territorio.

A un certo punto sembrava che la Provvidenza e tramite l’architetto Giovanni Zanetti ci mettessero a disposizione un’area di 40.000 m² a Favaro, così ho iniziato a sognare “la cittadella della solidarietà”, che riprendeva il vecchio progetto elaborato con la San Vincenzo. Il patriarca Scola, venuto a conoscenza dell’iniziativa, parve sostenerla e, infatti, promosse due o tre incontri invitando gli enti caritativi di Mestre che, con un’espressione brillante, definì la “pala d’oro” della chiesa veneziana”.

Purtroppo un inghippo imprevisto per il terreno e il successivo trasferimento a Milano di monsignor Scola hanno mandato di nuovo tutto in fumo. Sennonché, come dimostrano la costruzione del villaggio solidale degli Arzeroni, costituito dai Centri don Vecchi 5, 6, 7 e da 30.000 m di terreno acquistato per realizzare l’ipermercato della solidarietà, la Provvidenza sta rilanciando il mio sogno. “Il Polo solidale” del don Vecchi, che comprende il magazzino dei mobili e dell’arredo per la casa, lo spaccio dei generi alimentari in scadenza, quello dei generi alimentari del Banco solidale e il chiosco di frutta e verdura, ha dato vita a un’agenzia caritativa che credo non abbia eguali in tutto il Veneto!

Questo “miracolo di solidarietà”, infatti, ha indotto la Fondazione Carpinetum a costruire l’ipermercato della carità che spero possa diventare un modello per altre strutture simili in ogni diocesi del nostro paese. Questa nuova situazione potrebbe fornire lo spazio adeguato per la creazione di un “governo” o almeno di un organismo di studio, progettazione e coordinamento delle attività solidali di matrice religiosa e laica esistenti nella nostra città.

Confesso quindi che continuo a sognare a occhi aperti e a fare quanto è in mio potere, forte della realizzazione di 500 alloggi per anziani e dell’associazione “Il Prossimo” che già aiuta in maniera molto seria decine di migliaia di poveri ogni anno. Confido che ciò possa senz’altro rappresentare una buona base di partenza. Comunque, se la cosa non dovesse andare in porto, ho già pronto il testamento per lasciare in eredità ai posteri questo progetto irrealizzato.

Un sogno da avverare

Qualche giorno fa, sfogliando un vecchio libro, ho trovato tra le pagine una piccola cartolina della Madonna di Luini. La Vergine è presentata raccolta, pudica e bella. Era l’immagine della mia consacrazione sacerdotale. Sul retro una frase di San Paolo, il mio nome e la data: 27 giugno 1964. Me ne ero dimenticato persino io e tanto più il caro mondo che mi è vicino. Solamente Cecilia, la piccola scout dei miei primi anni di sacerdozio, che aveva trovato pure lei l’immaginetta in un libro della nostra biblioteca, mi ha fatto gli auguri.

Mi capita spesso, ma mi pare naturale, di lasciarmi prendere dai ricordi della mia lunga vita di prete e di riprovare le emozioni di tempi tanto lontani, vissuti con tanta intensità, e di analizzare vecchie storie che si sono concluse con alterne vicende. Alcuni giorni fa l’Università popolare mi ha chiesto un articolo sul mio rapporto con i poveri a Mestre e perciò sono stato costretto a ripercorrere certe imprese: alcune delle quali mi sono riuscite, mentre altre restano un sogno bello tra le nuvole di un cielo che fa sognare!

Tra queste ultime rientra il progetto di mettere in rete tutte le attività benefiche della nostra città. Non lo vedrò certo realizzato nel suo insieme, ma mi è rimasta qualche speranza di vederne realizzata almeno una parte, se il Signore mi concederà ancora qualche anno di vita.

L’architetto Giovanni Zanetti, il professionista che ha progettato e realizzato il Don Vecchi tre e il Don Vecchi quattro, un giorno di una decina di anni fa, mi prospettò che avrebbe avuto la possibilità di ottenere gratis una superficie di circa 20.000 metri quadrati a Favaro Veneto per l’iniziativa della quale mi aveva sentito parlare. La proposta, un po’ interessata, dei padroni del terreno era legata al fatto che il Comune concedesse loro di realizzare un albergo su un terreno contiguo. La mia testa cominciò a ipotizzare la cittadella della solidarietà, ossia un centro in cui i poveri potessero trovare le risposte per ognuna delle loro attese, dando vita al coordinamento cittadino della solidarietà. Ebbi perfino l’avallo e l’appoggio del cardinale patriarca Angelo Scola, ma non se ne fece niente un po’ perché tramontò presto la possibilità del dono e un po’ perché ebbi tutti contro, a cominciare dalla Caritas.

Svanita questa ipotesi, trasferii idealmente il progetto, ridotto a una sede per i magazzini della carità, nel grande campo incolto della società dei 300 campi, contiguo al centro Don Vecchi di Carpenedo. Già molti anni prima, un consiglio di amministrazione aperto e illuminato di questa società mi aveva offerto l’area dove ora sorge il Don Vecchi uno. Mi parve bellissimo che la parrocchia del posto, questa antica Società benefica e il nuovo centro si accordassero per dar vita assieme a una grande iniziativa, forse la prima in Italia. Purtroppo “il diavolo ci mise la coda”, perché il vecchio parroco di allora, un gruppetto di parrocchiani preoccupati di avere nel quartiere la “poveraglia” e un consigliere della stessa società boicottarono ferocemente l’iniziativa. Così anch’essa è caduta presto rovinosamente.

Pensavo che questa vicenda fosse finita, senonché la costruzione del Don Vecchi 5, 6 e ora del 7 ci ha messo sulla strada di acquistare un terreno di circa 30.000 metri quadri attiguo a questi centri ora serviti dalla nuova strada e dagli autobus cittadini. È già stato firmato un preliminare d’acquisto e mi auguro che presto firmeremo anche il rogito e che, tra un anno, si possa pensare alla nuova sistemazione dei magazzini della carità. Non mancano difficoltà di ogni genere ma sappiamo che chi la dura la vince!

Scrivo queste vicende per la storia, perché ritengo giusto ricordare che i percorsi dei progetti di solidarietà sono particolarmente duri e difficili, ma talvolta si avverano. Spero di offrire qualche elemento in più a chi scriverà la storia di Mestre solidale.

Nuovi magazzini solidali

Quello che ho definito ormai da anni “Il polo solidale del Centro don Vecchi”, per illustrare le varie attività dei magazzini per il ritiro e la distribuzione degli indumenti, della frutta e verdura, dei mobili antichi e moderni, dell’arredo per la casa, dei supporti per gli infermi, per i generi alimentari in scadenza e di quelli offerti dal banco alimentare di Verona e altri ancora, attualmente è collocato proprio presso il don Vecchi. Però in spazi ridotti e non idonei.

Il numero sempre maggiore di frequentatori (che in gergo commerciale sarebbero chiamati “clienti”, ma per noi persone bisognose da aiutare) è diventato tale da costringere il Consiglio di amministrazione a programmare nuovi magazzini, progettati secondo le esigenze di queste attività, seppur di valenza caritativa.

Mestre pare abbia compreso appieno l’importanza dell’attività della Fondazione, che si avvale attualmente de “Il Prossimo”, il nuovo ente no profit, costituito per razionalizzare tutta l’attività, e ha già offerto una somma tale da poter affrontare e risolvere positivamente questo problema quanto mai urgente.

Le difficoltà però non sono nè poche nè facili, perché si deve trovare una superficie di 15-20 mila metri quadrati in un luogo facilmente raggiungibile sia dai volontari che dai beneficiari, e spazi che abbiano un costo alla portata della somma accumulata a questo scopo.

Io, ormai vecchio e senza potere alcuno, mi sono ritagliato uno spazio in questa vicenda scegliendo di pregare il Signore perché dipani questa matassa quanto mai così ingarbugliata. Desidero continuare ad essere coscienza critica per i consiglieri della Fondazione, ricordando quanto importante sia che che i soldi non restino a disposizione in banca e che quando vengono impegnati per realizzare opere a favore dei poveri sostanzialmente raddoppiano di valore.

Fuoco sotto la cenere

Ormai m’ero rassegnato. Da almeno vent’anni avevo sognato che a Mestre parroci e parrocchie sentissero il bisogno di avere un centro che da un lato razionalizzasse e controllasse tutte le associazioni e le “agenzie” cattoliche che sono impegnate sul fronte dei poveri, e dall’altro lato fosse pure operativo concentrando in uno stesso luogo le attività più consistenti in maniera che ai concittadini in difficoltà fosse facile trovare una grande istituzione dove sia possibile avere risposte adeguate alle necessità più diverse. Non è che in questi anni sia stato con le mani in mano, tanto che nel seminterrato del don Vecchi c’è già un abbozzo di questo centro, che io ho denominato con una certa enfasi “il polo solidale del don Vecchi”.

Però è una struttura ancora troppo piccola ed inadeguata. Nel recente passato vi fu un momento in cui mi illusi che il progetto prendesse corpo, tanto che avevamo individuato un terreno e si aveva incominciato a disegnare quella che sognavo fosse intitolata la “cattedrale della solidarietà”.

Il Patriarca Scola s’era lasciato coinvolgere, dando appoggio e facendo promesse, però m’accorsi quasi subito che l’ambiente cattolico non era maturo, a cominciare dalla Caritas che affermò di non crederci, e don Franco che mi disse: “Bello, don Armando, però per i soldi dovrai arrangiarti!”

L’uscita poi di scena del vecchio Patriarca e l’insorgere dei guai finanziari della diocesi, che già era poco convinta e propensa di imbarcarsi in un progetto così nuovo e impegnativo, mise una grossa pietra tombale sopra al mio sogno.

La Fondazione poi si impegnava in quello che doveva diventare un progetto pilota per prolungare ulteriormente l’autosufficienza; sennonché la scelta dell’assessore della Regione Senargiotto di candidarsi per il parlamento europeo, pur avendo promesso appoggio finanziario, impegnò a fondo la Fondazione per tentare di portare avanti senza alcun aiuto pubblico suddetto progetto.

Dati i miei quasi novant’anni m’ero rassegnato a lasciare in eredità ai posteri il sogno di razionalizzare e concentrare in una struttura polivalente uno dei più rilevanti problemi di qualsiasi comunità cristiana e in particolare della Chiesa di Mestre, che è costituito di dare autentica consistenza al progetto della carità. Sennonché qualche giorno fa è morta una persona che aveva fiducia in me tanto che aveva deciso di lasciarmi ogni suo avere, ma che per mio suggerimento aveva scelto la Fondazione dei centri don Vecchi.

Data la consistenza del patrimonio ereditato, la brace, che era ancora viva pur sotto la cenere del mio sogno, cominciò a brillare, tanto che da ora in poi ho deciso di non perdere occasione per suggerire e premere sul Consiglio di amministrazione ed impegnarmi su questo progetto.

Ora mi trovo molto di frequente a pensare: “Vuoi vedere che se le cose andranno per il giusto verso e se il Signore avrà ancora un po’ di pazienza a mandarmi “la cartolina di precetto” avrò anche la grazia di vedere questa lungamente sognata cittadella della solidarietà?

Se poi non sarà una cittadella mi accontenterei anche che fosse un piccolo borgo o un villaggio solidale!

I poveri e i mendicanti

Le due entrate del camposanto sono ambedue presidiate, con turni ben definiti, sia al sabato che alla domenica, dai mendicanti.

Gli atteggiamenti per impietosire i cittadini che vanno a visitare i loro morti, sono diversi ma tutti obbediscono a certi rituali collaudati. E’ fin troppo evidente che sono dipendenti di una organizzazione malavitosa che approfitta di loro e che molto probabilmente lucra sulla loro mendacità. Tant’è vero che quando li ho invitati al don Vecchi ove potevano trovare generi alimentari, frutta e verdura ed altro, non ne ho trovato uno che abbia approfittato di questa opportunità.

Io, lo dico con pudore ed una certa preoccupazione, diffido quanto mai di questi mendicanti. Non penso che il dar loro un euro sia male, sono convinto però che dobbiamo preoccuparci più seriamente dei poveri e dobbiamo organizzarci perché la nostra risposta al bisogno sia sempre la più adeguata ed esaustiva. Per questo non mi sono rassegnato ad abbandonare l’idea della cittadella della solidarietà con la quale la città e la Chiesa mestrina si attrezzino a soccorrere chi è in difficoltà e, nel contempo, combattano quella mendicità che umilia la persona che chiede, ma altrettanto quella che offre, perché il rapporto è sempre subumano e meschino.

I poveri di famiglia

Ieri ho fatto qualche annotazione amara circa l’organizzazione e la pratica della virtù cardinale della carità all’interno delle comunità parrocchiali. Non è la prima volta che lo faccio e certamente non sarà l’ultima. Sono ben consapevole della sorte toccata al “grillo parlante” del Collodi, però ci sono delle denunce talmente doverose, che credo si debba essere disposti a pagarle anche a caro prezzo.

Senza scomodare i termini impegnativi quali testimonianza o profezia, guai se verranno a mancare le voci scomode che denunciano storture, carenze e deviazioni.

E’ più che mai doveroso affermare a chiare lettere che una parrocchia che non abbia una lucida conoscenza dei suoi poveri – e col termine “poveri” intendo non solamente quelli che non riescono ad avere il necessario per vivere, ma anche gli infermi, gli anziani soli, le persone colpite da drammi gravi, disoccupati, ecc. – non è una parrocchia che possa fregiarsi del titolo di comunità cristiana.

La solidarietà esige conoscenza aggiornata e capacità di risposta, avendo a disposizione personale e mezzi da impiegare. In una città come la nostra c’è pure l’esigenza di strutture e servizi a livello cittadino, cosa che una singola comunità, per quanto grande e ben organizzata, non riesce a promuovere e sostenere, e che perciò devono essere promossi e gestiti dalla collettività nel suo insieme – e qui torno ancora una volta al progetto della “cittadella della solidarietà” che dovrebbe nascere ed essere gestito con la collaborazione dei singoli e delle comunità parrocchiali.

Ogni parrocchia però, se vuol essere non solo di nome ma anche di fatto una comunità cristiana, non può prescindere da un minimo di organizzazione interna, attraverso la quale si fa carico dei suoi fratelli fragili e bisognosi di aiuto. Oggi però questo avviene in un numero assai ridotto di comunità parrocchiali.

Betlemme in versione terzo millennio

Ho telefonato ad un mio collega per segnalargli il caso pietoso di un’anziana signora che vive nella sua parrocchia sola nonostante un’incipiente demenza senile. Questo, a sua volta, mi ha chiesto aiuto per una giovane coppia con un bambino di due o tre anni ed un altro in arrivo fra pochi giorni.

Non sapendo che cosa fare e a chi rivolgersi – ma nessuno di noi, per quanta buona volontà ci metta, sa cosa fare – li aveva ospitati nel suo garage. Da un paio di mesi questa famigliola ha bussato a tutte le porte civili e religiose, senza trovare risposta.

Per mangiare e vestire la nostra città ha qualche disponibilità, ma per ospitare non c’è proprio nulla. Perfino all’asilo notturno i senzatetto da qualche tempo sono costretti a turnarsi, ma comunque il rifugio dei barboni non sarebbe stato adatto per questo caso.

L’inettitudine del Comune è senza limiti. Pare che, specie ultimamente, esso si sia dedicato agli sperperi (vedi i 30 milioni per le fondamenta, inutili, del Palazzo del Cinema) o ad impedire, a chi si impegna per i poveri, di portare avanti i suoi progetti sociali, mediante una burocrazia dissennata ed irresponsabile. Non parlo tuttavia solo del Comune, ma mi riferisco pure alla mia Chiesa. Possibile che la nostra diocesi non possa affrontare qualcosa almeno per le emergenze?

La cittadella, con il relativo ostello per chi ha bisogno di un tetto da un paio d’anni è stata appesa alla “virtù della carità soprannaturale”. Oggi, come duemila anni fa, non c’è posto in alcun “albergo” per il bimbo che deve nascere!

Passato e futuro della carità

Il cardinale Scola mi pare abbia stimmatizzato l’inattività e il piangersi addosso dei veneziani, invitandoli a credere in se stessi ed a giocare il ruolo che loro compete, avendo alle spalle la tradizione gloriosa della Serenissima.

Il vecchio Patriarca alle parole ha fatto seguire l’esempio, creando dal nulla una nuova università: il Marcianum.

M’è piaciuto ed ho condiviso la sua scelta di non rimanere ai bordi dei problemi della nostra città e il suo sforzo di essere sempre protagonista negli eventi importanti della città tentando di offrire a tutti i livelli e in ogni circostanza il contributo che attingeva dal pensiero cristiano.

Spero tanto che il nuovo Patriarca gli sia complementare, sviluppando la dimensione orientale della proposta cristiana: la carità, componente essenziale del messaggio di Gesù, rianimando e mettendo in rete strutture e servizi nati nel passato. Noi del “don Vecchi” gli offriamo fin da subito due progetti ambiziosi ed innovativi: “La cittadella della solidarietà”, che è andata a finire nel limbo, e il “Villaggio solidale”, che sta “germogliando” agli Arzeroni. La componente orizzontale della Chiesa veneziana oggi ha particolarmente bisogno!

L’indotto della crisi

Qualche giorno fa un mio collaboratore mi ha presentato un suo “volontario” che avrà bisogno di un alloggio.

Il breve colloquio preliminare mi ha dato modo di definire subito “il soggetto richiedente”. Da quattro anni e mezzo non paga un affitto convenzionato col Comune a circa 200 euro mensili. Non riesce a trovare lavoro, ha in più, alle sue spalle, una famiglia sfasciata. Le sue figlie vivono con la madre. Negli stessi giorni un signore che mi ha impietosito, mi ha telefonato dicendomi che ha difficoltà a pagare l’affitto, benché i tre mesi precedenti glieli avessi pagati io.

Potrei continuare a presentare casi su casi.

In periodi di floridezza economica questi soggetti riuscivano a campare in qualche modo di espedienti. Ora non più. La crisi ha messo in difficoltà tante aziende, le quali han dovuto chiudere o tirare i cordoni facendo saltare quell’indotto di cui beneficiavano soggetti che in qualche modo campavano sull’efficienza di quelle aziende.

Chi mai, oggi, può assumere qualche soggetto che sia meno che valido? Per mangiare e vestire ancora si trova, ma per dormire è impossibile trovare un posto letto in città.

Avevamo proposto “La cittadella della solidarietà” che prevedeva anche un ostello per le varie gradazioni di povertà. Il progetto è fallito, soprattutto per l’indifferenza dei responsabili della carità della Chiesa veneziana. Ora, al primo incontro col nuovo Patriarca, riproporrò l’iniziativa come una esigenza prioritaria, sperando nel suo appoggio.

Che emozione assistere alla “semina” del villaggio solidale degli Arzeroni!

Io sono nato in campagna e quindi porto con me tante immagini e tanti ricordi della mia terra, immagini che ormai sono parte integrante della mia persona e della mia cultura. Uno dei ricordi più “sacri” che in certi momenti mi affiorano, è quello dei contadini che con un gesto calmo e pacato spargevano la semente tra le zolle che l’aratro aveva appena preparato per la semina. Sembrava che la mia gente con coraggio, speranza e fiducia affidasse al campo quel “tesoro” che gelosamente aveva tenuto in serbo nel granaio per tutto l’inverno; in quella semente era riposto il pane per la nidiata numerosa di figli.

Qualche settimana fa, in un momento particolarmente importante, per associazione di idee, ho avuto la sensazione che un gruppetto di amici sensibili ai bisogni delle persone in difficoltà, abbia compiuto lo stesso gesto sacro della semina affidando alla Divina Provvidenza e alla generosità dei mestrini un progetto veramente coraggioso che dovrebbe essere realizzato in parte presto e in parte nel prossimo futuro.

Io non sono più presidente della Fondazione dei Centri don Vecchi; guida questa istituzione il giovane ed intraprendente nuovo parroco di Carpendo con la collaborazione di altri quattro membri del Consiglio, ma questa cara persona, con un gesto di squisita cortesia, mi invita, quasi in qualità di “padre nobile” alle sedute del Consiglio, pur non avendo in quell’organismo alcuna responsabilità.

Ebbene, in una delle recenti sedute ho assistito con profonda emozione interiore alla semina del “villaggio solidale degli Arzeroni”. Avendo il Comune assegnato alla Fondazione quasi trentamila metri quadri di superficie, essa ha deciso di progettare, per ora, e di realizzare, per stralci, questo “villaggio solidale” che si articolerebbe in questo modo:

1) Un “Centro don Vecchi” di 120 alloggi per anziani in perdita di autonomia;

2) “Il Samaritano”, una struttura comprendente una ventina di stanze per i famigliari provenienti da paesi lontani, venuti ad assistere i loro congiunti negli ospedali di Mestre e per gli ammalati dimessi dagli ospedali e bisognosi di cure;

3) Una struttura di una quindicina di alloggi in cui accettare per 3, 4 anni, a prezzi di favore, padri divorziati che vengono a trovarsi in condizioni pressoché disperate per lo sfascio della propria famiglia, affinché possano superare l’emergenza ed accogliere i figli nel tempo loro assegnato;

4) Una casa con una decina di alloggi per preti anziani ed in cattive condizioni di salute;

5) Una struttura di una quindicina di appartamenti da assegnare per 3, 4 anni a giovani sposi in difficoltà, perché possano procurarsi poi un alloggio adeguato;

6) Una decina di alloggi per disabili che scelgano di puntare all’indipendenza abitativa;

7) Un ostello di almeno 50 stanze per operai, studenti, impiegati e persone che si trovano in difficoltà di alloggio per un’accoglienza provvisoria.

Di fronte ad una scelta così coraggiosa e cristiana ho provato la sensazione di chi semina con coraggio e si fida finalmente di Dio e degli uomini di buona volontà.

A qualcuno tutto questo potrà sembrare un azzardo ed un’utopia, interpretando il termine in maniera impropria; a me è parso un seme che (se il Comune farà la sua parte e i concittadini la loro) consentirà a Mestre di presentarsi finalmente al Paese come una città di uomini veri e di cristiani da Vangelo!

Quei “buoni cristiani” che a volte non ci sentono proprio

Pare che parecchia gente si rifaccia ad una massima del compianto cardinal Urbani, Patriarca di Venezia in anni difficili. Infatti ho sentito dire, più di una volta, il mio vecchio patriarca Urbani, il Vescovo di Venezia ai tempi in cui infuriava la contestazione: «Quando hai bisogno dell’aiuto di qualcuno, non andare a chiederlo a chi non ha niente da fare e non è impegnato, perché ti dirà di no; chiedi invece il favore a chi è molto impegnato, vedrai che in qualche modo troverà la possibilità di darti una mano».

Questo detto sapienziale mi attutisce il colpo quando qualche “anima candida” mi manda qualcuno in difficoltà, nelle ore più impensate, perché l’aiuti a risolvere i suoi problemi impossibili.

Da sempre ho deciso di scegliermi un tassello delle infinite nuove e vecchie povertà per occuparmi solamente di quello, perché convinto che chi cerca di far tutto finisce per non far niente di fatto bene.

Io ho scelto di occuparmi della residenza degli anziani poveri e questa scelta mi impegna tutto il tempo e tutte le risorse di cui dispongo. Però c’è spessissimo qualche “anima pia”, e purtroppo qualche altra furbastra che quando le si presenta qualche persona in difficoltà, “risolve il caso” dicendole: «va da don Armando, lui ha la possibilità di aiutarti».

Quando si tratta di “anime candide” porto pazienza, anche se “i buoni cristiani” dovrebbero sempre sporcarsi le mani col prossimo in difficoltà e non scaricarle sul prete. Ma quando invece si tratta di persone furbastre, allora la ritengo una vera mascalzonata ignobile e ingenerosa!

Un paio di settimane fa, nel lasso di pochi giorni, per ben tre volte sono state mandate da me tre creature in situazioni impossibili, per le quali io non sono attrezzato a dare una risposta esaustiva.

La prima, una signorina in pensione che viveva col padre vedovo il quale, avendo trovato una nuova compagna, ha buttato fuori la figlia. Quando mi ha telefonato, su suggerimento di “un buon cristiano”, da una settimana dormiva in macchina.

La seconda: mi si è presentata una giovane donna con un bambino di tre anni. Mi raccontò che, scaduto il termine di affitto, il compagno aveva riconsegnato le chiavi di casa al relativo padrone e lui se ne era ritornato in Serbia. Mi disse che il parroco vicino l’aveva mandata da me perché le dessi da dormire per la notte e che l’indomani avrebbe attivato i servizi sociali del Comune.

La terza: una romena che aveva perso il lavoro per la morte dell’anziano che assisteva. Da una settimana viveva per strada. Ancora una “buona cristiana” su suggerimento del suo parroco, ha suonato al mio campanello, perché a lei faceva pena.

Quando ho proposto “La Cittadella della Solidarietà” non c’è stato uno, dico uno, che mi abbia appoggiato.

Per fortuna ho potuto ricorrere a quell’angelo di ragazza che si occupa del Foyer San Benedetto che, con una generosità infinita, tutte tre le volte mi ha aiutato per l’immediato. Però a Mestre ci vuole ben altro; purtroppo però preti e buoni cristiani non ci sentono da questo orecchio!

Che gioia la prima riunione del nuovo Consiglio della fondazione!

Durante la scorsa settimana sono stato gentilmente invitato a partecipare alla prima convocazione del nuovo consiglio di amministrazione della Fondazione del “don Vecchi”. Sono stato estremamente ben impressionato, a cominciare dalla convocazione.

Sotto la mia gestione l’incontro del Consiglio era una vera questione di Stato. Si cominciava con una serie di telefonate per verificare la disponibilità dei vari membri a parteciparvi e non era cosa da poco riuscirvi, per i vari impegni di ognuno. Una volta risolto questo problema, veniva mandata una E-mail con l’ordine del giorno. Infine, non fidandomi delle “diavolerie” dell’elettronica, mandavo anche una lettera. Quasi sempre mancava qualcuno e tra quelli che intervenivano c’era sempre uno o due che dovevano andarsene presto per precedenti impegni.

Con don Gianni le cose sono cominciate ben diversamente. Inviò ai consiglieri una semplice e-mail a bruciapelo, a me una telefonata per rispetto alla mia canizie. Don Gianni, presidente, ha tirato fuori il suo computerino portatile e mentre con la bocca parlava, le sue mani danzavano leste sulla tastiera.

Il nuovo presidente ha comunicato velocemente date e modalità della nomina, si è informato sui problemi più urgenti, ha fatto mettere a verbale le prime iniziative e scadenze ed ha condotto in maniera veloce e spigliata la seduta di consiglio, riprendendo in mano l’annosa discussione sulla “cittadella della solidarietà”, avviando il progetto su un binario sicuro e sgombero da ostacoli curiali.

Sono rimasto veramente ammirato dalla autorevolezza, dalla spigliatezza e dal senso di responsabilità nel prendere in mano le varie questioni. Sono uscito ringraziando il Signore della grazia che ha fatto a me e al “don Vecchi” per aver mandato questo giovane prete, perché credo che con lui il movimento della solidarietà avrà certo un domani.

Ritornando in appartamento ho ripetuto il “nunc dimittis Domine” che avevo pronunciato durante l’inaugurazione del “don Vecchi” di Campalto, dicendo l’antica frase che ripetono gli anziani: “Beati voi giovani!”. Sono convinto che nella famiglia del “don Vecchi” si siano ricomposti i ruoli e finalmente io potrò svolgere quello che mi si addice, cioè il nonno!

Ora spero nella rinascita del sogno della “Cittadella della solidarietà”!

Da un paio di anni sogno “La Cittadella della solidarietà”, ossia un piccolo borgo ove si tentasse di dare la risposta alle attese dei cittadini che sono in disagio per i motivi più diversi.

Vedendo il gran bene che si va facendo nel polo solidale del “don Vecchi”, nel quale ogni giorno decine e decine di volontari incontrano ed aiutano centinaia e centinaia di poveri, ho sognato che finalmente si potesse dar vita ad un qualcosa di organizzato e coordinato a livello manageriale.

Il gran campo non coltivato che costeggia il Centro “don Vecchi” mi sembrava il sito ideale per l’ubicazione, per la grandezza della superficie e per i mezzi di trasporto vicini. Non avevo neppure preoccupazioni di ordine economico, perché rifacendomi alla dottrina che supporta i grandi magazzini della solidarietà che operano al Centro – ossia che è importante impostare l’organizzazione in maniera tale che ognuno sborsi quello che può e il ricavato sia totalmente devoluto per mettere in atto altri servizi, strutture di solidarietà. Per questa scelta non solamente suddetto polo solidale non è in rosso, ma anzi in cinque anni è riuscito a creare 64 nuovi alloggi per gli anziani.

La Società dei 300 Campi, che pure è nata per beneficenza del vescovo di Treviso e che dovrebbe per statuto operare a vantaggio del popolo, preferisce lasciare il suo terreno incolto ed improduttivo piuttosto che dedicarlo ai concittadini bisognosi. Gli abitanti del quartiere, poi, si sono messi di traverso, preoccupati che “la poveraglia” non squalifichi il loro ambiente piccolo-borghese.

Ad un certo punto parve che il patriarca Scola ambisse a tradurre la sua crociata a favore del “gratuito”, ma i prelati a cui ha affidato il progetto non son parsi né troppo convinti né operativi, tanto che hanno lasciato passare i mesi senza concludere nulla. Ora poi che il Patriarca se n’è andato, anche le più deboli speranze sono del tutto svanite.

Io però credo ancora al motto latino “In spem contra spem” perché anche quando mi sono accorto che enti pubblici, banche e fondazioni mi hanno voltato le spalle, la Provvidenza non s’è per nulla scomposta; e infatti stiamo chiudendo la partita del “don Vecchi” di Campalto perfino in positivo.

Chissà che il mio giovane successore non faccia il miracolo! Caso mai io gli darò una mano offrendogli l’ultimo euro, memore del patriarca Agostini che disse a don Valentino Vecchi: «Parti, io ti assicuro che ti darò l’ultima lira!»

Un pranzo di lavoro poco soddisfacente

Qualche giorno fa ho partecipato per la prima volta ad un pranzo di lavoro a cui mi ha invitato il Patriarca.

Premetto che non sono particolarmente entusiasta della soluzione dei pranzi di lavoro per trattare un qualsiasi problema. Chi prende la parola fatica a parlare perché i destinatari del suo discorso sono, naturalmente, più o meno intenti a mangiare, e chi ascolta, invece, mangia mal volentieri, preoccupato di non far rumore, di perdere le parole, e quando gli verrebbe da intervenire è nel bel mezzo del piatto di pasta! Comunque il pranzo di lavoro è andato avanti, seppur con qualche sussulto e qualche pausa per l’andirivieni della cameriera, abbastanza disinvolta, spicciativa e poco interessata al discorso.

L’architetto Giovanni Zanetti, ha trattato l’argomento della cittadella della solidarietà un po’ girando alla larga ed un po’ con un linguaggio troppo tecnico e ha informato di poter ottenere trentamila metri di terreno a titolo gratuito, in una zona a suo parere ben servita dai mezzi pubblici. Il Patriarca è intervenuto motivando la scelta come logica conclusione della sua “campagna” sul gratuito svolta durante la sua visita pastorale.

Gli interventi circa l’opportunità di dar vita a questa “cittadella della solidarietà” sono stati più smorzati e più soffici di quelli manifestati sullo stesso argomento durante una precedente cena di lavoro alla quale non partecipava il Patriarca; di certo però non ho avvertito troppo entusiasmo e troppa passione; forse ciò è dovuto al fatto che, per non so quale motivo, in questi giorni ho avuto un calo preoccupante di udito. M’è parso che con quella “brigata” non si andrà troppo lontano.

Un mio vecchio amico prete diceva spesso che lui era per la democrazia, però guidata da un forte “leader” – che, tradotto, significava che c’era bisogno di uno che ascolti pure, ma poi decida lui! Io invece penso che sia assolutamente necessario un manager che, dopo aver ascoltato, proceda mettendo in riga tutti, compresi quelli che han deciso! Per la “cittadella” siamo ancora un po’ lontani da questo; spero che non si indìca quindi una “merenda di lavoro” per proseguire il discorso!